Ci sono due avvenimenti che in questi giorni appassionano l’opinione pubblica, la polemica scoppiata a proposito della svolta impressa alla Chiesa da Papa Francesco che ha visto contrapposti Vittorio Messori e Leonardo Boff, e gli attentati di Parigi. Per quanto riguarda il primo argomento, sorvoliamo sui toni liquidatori di Boff che pretende di avere il monopolio della verità e della infallibilità e non tollera posizioni diverse dalle sue, bollate addirittura come “grossi vuoti di pensiero”. Beato lui che, per dirla con monsignor Livi, ha il dono di confondere le sue congetture con la verità divina. Se invece vogliamo occuparci di cose serie, bisogna dire che i rilievi mossi in tono pacato e rispettoso da Messori, innamorato nonostante tutto del suo Papa, all’operato di Francesco, non sono del tutto peregrini. Io che sono meno innamorato di Messori, mi permetto di osare di più e dico che il Papa dovrebbe essere un po’ meno incline a forme di “rottamazione” care ai comuni mortali. Egli contiene in sé il mistero di un miracolo consegnatoci duemila anni fa e conservato grazie ai fasti della Chiesa e non dovrebbe, a mio avviso, desacralizzare il suo ruolo offrendosi agli umori della gente, prestandosi alla promozione di istanze sociali e assecondando gli impulsi di un terzomondismo venato di pregiudizio ideologico e dogmatico. La Chiesa ha tanto da farsi perdonare e il Papa fa bene a tentare di ricondurla alla umiltà delle sue origini, all’amore per i poveri e all’attenzione per i più deboli, senza però confinare il suo magistero unicamente entro le anguste frontiere dell’eticamente e socialmente corretto e ricordando sempre che Egli è sapienza di Dio, sospeso tra misericordia ed estasi, trascendente e sottile come la lama dello spirito e non può confondersi con il livore di un Boff, la cui invocazione dello spirito santo ha tutta l’aria di una chiamata alle armi per la riproposizione di una utopia velleitaria che ha fatto il suo tempo e tanti guasti. E invece con la sua indulgenza verso certi miti, Francesco da l’impressione di nutrire una sorta di risentimento per la sua Chiesa, per quello che essa è stata in alcuni periodi oscuri della sua storia, e di volerla punire, dimenticando che, proprio grazie a questa storia pur contraddittoria, il Papa può parlare in nome di Cristo e, in nome di Cristo e non della Teologia della liberazione, esercitare il proprio magistero.
E giusto per agganciarci alle
imprese di cui si sta rendendo protagonista in questi giorni un certo Islam, nel
suo magistero ci dovrebbe essere pure una difesa più convinta dei suoi figli
perseguitati, la rabbia del padre che rovescia il tavolo e brandisce la sua ira
contro quanti massacrano i cristiani in medio oriente e in Africa, invece di tendere
la mano ai carnefici in uno slancio ecumenico che può essere frainteso. In
Europa, una Chiesa cattolica poco risoluta, la cultura giudaica-cristiana che
ha permeato la società occidentale, le coscienze laiche eredi della civiltà
greco-romana e dei lumi, hanno rinunciato alla loro identità consegnandosi a
identità ben più forti e determinate. Le fosche profezie Houellebecq non sono
così farneticanti e gli spari di Parigi ne sono una sinistra conferma. Quando insorgiamo contro la barbarie che ci sta investendo
non vogliamo sentirci bacchettare da chi grida all’intolleranza. Così come
critichiamo le declinazioni della nostra fede che non ci convincono, abbiamo il
diritto di criticare un modello religioso e culturale incompatibile con il
nostro, dove, e parliamo dell’Islam moderato, la donna non ha gli stessi
diritti dell’uomo, non c’è libertà di culto, non c’è libertà di stampa, il
fondamentalismo religioso si è impadronito dello Stato. È una differenza di
cultura che ci riguarda quando incrocia le nostre contrade, insidia la nostra
cultura e fa da incubatrice all’intransigenza di giovani cresciuti tra noi ma
col cuore sintonizzato sui feticci delle loro origini, annidati tra le nostre famiglie e pronti a colpire.
Allora abbiamo il diritto di insorgere e la nostra ribellione non può essere
scambiata per islamofobia. Il nostro non è un incitamento all’odio ma una
richiesta d’aiuto a capire se ci possiamo fidare di Ismail che condivide la
nostra tavola, che è inserito a pieno titolo nelle pieghe della nostra società,
che appare così mite. È una richiesta che indirizziamo a quanti non ci
concedono il diritto alla paura e a gridare il nostro allarme. Ed è una
richiesta che rivolgiamo allo stesso Ismail, il solo in grado di convincerci
che non abbiamo nulla da temere da lui. Certo se Ismail, intervistato, dice che
quelli di Charlie Hebdo se la sono
cercata, c’è da stare poco allegri.
Ottimo articolo, come del resto tutti quelli che ho il piacere di leggere con assiduità sul Suo blog. Le avevo scritto una mail nel giorno 3, rimandata anche il 4 del corrente mese di Gennaio. Non ho avuto ancora riposta. Spero di avere presto Sue notizie, non credo di aver fatto nulla che possa averLa offesa...Con stima immutata. Michele Nardelli
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