Ci sono mille motivi per non coltivare più illusioni su
questa Italia. Ciascuno ha sicuramente un suo cahier de doléances da sfogliare
e magari ci rinuncia vinto dalla rassegnazione.
Ed è proprio un sentimento di rassegnazione quello che ho
percepito nelle parole di un mio ex compagno di detenzione col quale mi sono
incontrato pochi giorni fa.
Mi ha raccontato di essere stato scarcerato perché
riconosciuto innocente dall’accusa di omicidio, dopo avere scontato parecchi
anni di detenzione e la gogna mediatica cui il clamore della vicenda e la
notorietà del suo nome lo hanno esposto.
Si lamentava della disinvoltura con cui era stata sostenuta
l’accusa, del carcere scontato, della cattiveria dell’opinione pubblica pronta
a trasformarsi in carnefice, ma soprattutto si lamentava della lunghezza del
processo.
Il mio ex compagno ha una sua cultura che ha avuto il tempo
di maturare in carcere e mi ha impartito con competenza una lezione di diritto.
Mi ha parlato di Beccaria e di come l’illustre giurista sostenesse che una
sentenza, perché sia giusta, deve avere il requisito dell’immediatezza,
affinché appaia evidente il rapporto di causa ed effetto tra reato e pena. Mi
ha parlato di Veronesi e di come questi affermi che, dopo anni, l’uomo non è
più lo stesso uomo di prima perché col tempo egli ha modificato il suo cervello
e con esso il suo modo di pensare e di sentire, che per questo motivo una
sentenza che tarda ad arrivare finisce per colpire un uomo completamente
diverso dall’imputato originario ed ormai estraneo al processo.
Lamentava che i limiti previsti dalla legge per arginare la
lunghezza del processo non valgono per tutti nella stessa misura. Si
rammaricava il mio colto ex compagno, di come il nostro stupefacente Stato
riesca a contraddire sé stesso e i principi costituzionali su cui si fonda, di
come la legge non è uguale per tutti e
si incammina su binari diversi a seconda del suo destinatario. C’è, per
esempio, il binario della prescrizione per gli imputati comuni, che si
arresterà nella stazione che l’inefficienza dello Stato gli assegnerà, e c’è un
binario al quale l’inefficienza statale non assegnerà mai alcuna stazione dove
fermarsi e che si snoderà all’infinito attraverso le vite degli imputati di
serie inferiore per i quali il diritto viene sospeso, il binario che nega la
prescrizione ai reietti titolari di imputazioni mafiose.
Per questi il tempo non scade mai, di questi lo Stato terrà sotto
scacco la vita impunemente e infinitamente, condannandoli non alla pena per le
loro colpe ma al purgatorio per la propria insulsaggine. Con tanti saluti per
l’art. 3 della Costituzione.
Appariva veramente provato il mio ex compagno e, ringhiando
di rabbia, mi ha sibilato di non volere più riconoscere a questo Stato che gli
ha fatto un torto irreparabile, a questo Leviatano indecente e illegittimo ( si
è espresso proprio così ), il diritto di svolgere per suo conto le funzioni di
rappresentanza e di garanzia, di volersi dimettersi da italiano e cercare
altrove una nuova patria nella quale rifugiarsi.
L’ho visto allontanarsi curvo sotto il peso di ricordi che
non lo abbandoneranno mai eppure ancora capace di sognare, e ho invidiato la
sua innocenza, io che ho perduto ormai da tempo la capacità di coltivare
illusioni.
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