Ritornano con ciclica puntualità tutte le volte che gli
ormoni si sbarazzano della ragione. Sono gli intolleranti che, compresi della
loro missione di sculacciare il mondo, siedono ai piedi del patibolo e rumoreggiano
incitando al linciaggio fino a quando la vittima non penzola dalla forca. Li
vediamo all’opera in rete mentre vomitano la loro shitstorm e issano la
bandiera di un moralismo di maniera azzannando ai polpacci il malcapitato di turno
dato in pasto dalla cronaca. Intransigenti contro il prossimo quanto sono
indulgenti con sé stessi, i farisaici difensori della morale elastica tuonano
contro il malaffare e la corruzione ma nascondono negli armadi della loro cattiva
coscienza lo scheletro di condotte al servizio di quel che conviene e alla
mercé della più smaccata piaggeria nei confronti dei potenti ai quali non si
fanno scrupolo di chiedere la raccomandazione per sistemare il figlio o il
nipote e sottrarre opportunità ad altri più meritevoli.
Conferiscono la monnezza davanti al cancello del vicino per
non pagare dazio e tuonano contro la sporcizia altrui.
I nostri bravi censori non si sono curati di evitare la
deriva che ci vede sul punto di esalare l’ultimo respiro, hanno incassato
imperterriti il loro miserabile bottino e hanno continuato a guardare con
ammirazione e indulgenza alla mafia paludata fatta di politici disonesti, di grand
commis privi di scrupoli e della grande finanza spietata e senza volto, dando
in compenso luogo a crociate tonitruanti contro i ladri di polli e i mafiosi
tradizionali, manovali di una criminalità ottusa e stracciona, stupida al punto
da ostentare la propria oscena crudeltà votandosi alla rovina e offrendo ai
criminali d’alto bordo nascosti nell’ombra il pretesto per abbandonarsi a fughe
in avanti e distrarre l’attenzione dai loro crimini. Strepitano contro i
mafiosi sanguinari, come è giusto, ma non sono capaci di indignarsi con uguale
intransigenza contro mafiosi ben più pericolosi acquattati nelle pieghe della
società che fanno autenticamente strame delle nostre vite. Il livore
velleitario e sterile dei nostri censori d’assalto non scalfisce gli interessi dei
veri grandi criminali in doppio petto che ci colpiscono con strumenti sofisticati
la cui comprensione sfugge al nostro povero sapere.
L’intolleranza dei nostri pasdaran ci ha contaminati e ci ha
consegnati ad una condizione di insofferenza e di odio. Ci è rimasto soltanto
il rancore, il cieco furore che ci fa incartare su noi stessi e ci fa urlare
contro tutto e tutti come cani impazziti, abbiamo chiuso il nostro cuore alla
pietà, abbiamo perduto la nostra umanità. Altro che italiani brava gente!
Esercitiamo una crudeltà che è la spia di una frustrazione
covata nei cunicoli di complessi irrisolti e non siamo capaci di concepire
empiti generosi verso uomini che soffrono, che, come nel caso dell’ergastolo,
vivono la finzione di una vita senza speranza, l’inutile vendetta di un Stato
che è debole con i delinquenti inattaccabili e severo ai limiti della tortura
con i delinquenti figli di un dio minore che hanno sbagliato e stanno pagando
il loro conto ma che dopo tanti anni sono gli avanzi dolenti e confusi di
quello che erano, ricordano appena le loro origini, sono irriconoscibili e
completamente nuovi rispetto agli uomini cui è stata inflitta la pena. Le
carceri brulicano di uomini nuovi, ormai innocenti, ai quali va rimesso il loro
debito.
Esercitiamo la nostra crudeltà contro gli ultimi ai quali
contendiamo i resti di un pasto miserabile in una lotta tra poveri all’ultimo
morso da cui è bandita la pietà.
Papa Francesco, vox in deserto clamans, da Lampedusa ci
ricorda la pietà e Sergio D’Elia combatte la sua generosa battaglia per
l’abolizione dell’ergastolo sollecitando la pietosa complicità della brava
gente. Invocazioni destinate a restare inascoltate in un Paese in cui la pietà
è ormai moneta fuori corso!
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