L’ergastolo
Ho appena pubblicato il mio ultimo
post in cui lamento la mancanza di pietà di noi italiani a proposito dell’ergastolo
ed ecco che mi imbatto nella notizia che il Papa ha cancellato l’ergastolo dal
diritto penale vaticano. Motu proprio, senza tante storie, una decisione
solitaria e via!
C’è, come afferma Michele Ainis sul
Corriere di oggi, da crepare di invidia per la determinazione di un Papa che
preferisce alle parole i fatti mentre noi in Italia continuiamo a baloccarci
con le parole mantenendo in vita, tra i pochi in Europa, una pena disonesta che
infligge vendetta piuttosto che giusto castigo, che viola, oltre alla pietà, la Costituzione , che
colpisce uomini i quali dopo tanti anni non sono più gli stessi di prima e non
meritano più la pena originaria. Lo dice Veronesi e lo ha detto qualche secolo
fa Beccaria.
Lo dicono anche le testimonianze di
chi ha condiviso con gli ergastolani un dramma che svuota le menti. Ho già
parlato di Calogero che, riconosciuto innocente dopo quindici anni, aveva
intanto fatto in tempo a morire dentro tanto da ribellarsi al diritto della sua
innocenza. E, se non temessi di urtare la sensibilità dei palati delicati,
potrei parlare di tanti altri casi di dannati apolidi che si trasformano in
relitti e si trascinano all’insegna di una disperazione che si è tramutata in
ebetismo. Di uno mi ricordo in particolare che mi diceva: “Sa, io ho commesso
il delitto per il quale sono stato condannato, ma la crudeltà della pena che mi
è stata inflitta è superiore al male che ho fatto. Lo Stato mi punisce con gli
interessi e sembra quasi provare un sadico compiacimento nel prolungare una
sofferenza infinita, centellinata giorno per giorno, momento per momento, senza
alcuna speranza che finisca se non dopo la mia morte, che ha il sapore di una
vendetta ben più crudele della sofferenza che io ho inflitto alla mia vittima
in una frazione di secondo. Dopo tanti anni sono io a sentirmi vittima di una
pena che ormai non merito, perché oggi non sarei capace di ripetere i crimini
del passato.”
Che dire, posso ripetere quanto ho
già scritto in precedenza, ricordare che Renè Girard ne “La nausea della
vendetta” ha affermato: “Cercare l’originalità della vendetta è una impresa
vana nella misura in cui tutti i personaggi sono presi in una spirale di
vendetta, possiamo dire che è maturata una tragedia senza inizio e senza fine”,
e Gibran ammonisce: “ Il filo bianco e il filo nero sono tessuti insieme e, se
il filo nero si spezza, il tessitore dovrà esaminare la tela da cima a fondo e
provare di nuovo il suo telaio”.
Invece di gingillarsi con le parole,
il tessitore del telaio italiano dovrebbe prendere esempio dal Papa e provare a
modificare il suo telaio. In fondo neri o bianchi, siamo tutti fili della
stessa tela.
Grazie per i Suoi interessantissimi post, dott. Mandalà, che fanno riflettere e pensare a come le cose potrebbero andare in modo migliore...Ma la speranza è l'ultima a morire, le pare? Cordialmente. Michele
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