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giovedì 26 agosto 2010

L’Italia di Pulcinella

In questa rovente estate 2010 l’Italia di Pulcinella ha dato il meglio di se mettendo in cartellone la solita sceneggiata dei puri opposti agli impuri.
Da una parte imperversa il partito delle anime belle che ha lo scandalo facile e scopre l’acqua calda ad ogni pié sospinto proclamando con piglio da vergine violata la propria indignazione. Dall’altra parte risponde il partito delle facce di bronzo che hanno buttato la maschera e messo a nudo la loro vocazione di apprendisti stregoni. Su questi ultimi non merita che ci si dilunghi granché perché la loro ruspante sfrontatezza non si presta a complicate analisi. Sono usciti allo scoperto e mostrato che cosa si nascondeva dietro i proclami su garantismo e liberalismo con i quali un populismo senza pudore ha suonato il piffero al popolo credulone. La vera natura di questi signori si sta rivelando grazie ad una vera e propria campagna di guerra mossa contro la bulimia immobiliare dell’on. Fini ( la cui intransigenza morale, sia detto per inciso, sta pagando la legge del contrappasso ) esposto alla stessa esecuzione sommaria lamentata in passato dagli attuali censori e che a sua volta risponde senza farsi tanti scrupoli di tenere la sua alta carica alla larga dalle beghe di partito. Qui non c’è niente da analizzare, tutto secondo copione, senza pudori ma anche senza ipocrisie.
Un discorso più articolato va fatto per i soliti appaltatori della pubblica (e anche privata) morale e delle giuste cause. C’è l’imbarazzo della scelta in un panorama da cui si leva un brusio di lamenti sui temi più vari che vanno dalla crisi di coscienza che affligge chi collabora con Mondadori, agli appelli di Veltroni alla Nazione, al coro indignato contro il dispotico Marchionne che osa tenere tre operai lontani dalle catene di montaggio Fiat alle quali gli stessi hanno riservato attenzioni non proprio ispirate all’interesse dell’azienda.
Merita rispetto la crisi di coscienza del prof. Mancuso il quale non riesce a decidersi se continuare a pubblicare o meno per una casa editrice, la Mondadori, che ha liquidato con pochi spiccioli il suo enorme debito con l’erario ( ma Mondadori non ha vinto i primi due gradi di giudizio nella causa con il fisco? ). Ma, se pure si possono comprendere i tormenti di Mancuso, si comprende meno la chiamata alle armi che questi ha rivolto agli autori della Mondadori invitandoli a riflettere su un caso di coscienza che essi da soli non avevano avvertito in tanti anni di collaborazione con l’azienda. Qualcuno, come Odifreddi, lo ha mandato a quel paese, qualcun altro ha finto di riflettere, resta il fatto che Mancuso, invocando l’etica “ di cui ha fatto la stella polare della sua teologia “, invece di risolvere nel suo intimo i suoi problemi di coscienza, ne ha fatto oggetto di bando rasentando l’incitamento al sabotaggio nei confronti di una azienda in cui è cresciuto professionalmente senza essere mai stato censurato, in cui ha coltivato amicizie ed affetti e della cui proprietà era a conoscenza fin dall’inizio della sua collaborazione. A proposito di etica, non direi che sia proprio il massimo!
La lettera di Veltroni al Paese apparsa sul Corriere di martedì 24 agosto, contiene tutti gli ingredienti che spiegano la vocazione al suicidio di una sinistra che risolve la propria crisi d’identità cadendo come al solito dal pero,con generici appelli alla virtù, rimuovendo la propria storia ed evitando accuratamente ogni autocritica che individui le sue colpe dalle quali trarre salutari insegnamenti. Veltroni che chiude la sua lettera invitando “il nostro Paese a smettere di vivere dominato solo da passioni tristi”, dovrebbe spiegarci quali motivi hanno gli italiani per non sentirsi tristi e dare un ripassatina alla sua lettera intrisa delle solite malinconiche ovvietà. In essa troverà la solidarietà pelosa nei confronti degli “imprenditori che fanno e rifanno i conti della loro azienda chiedendosi perché metà del loro lavoro di un anno debba andare a finanziare uno Stato che non riesce a finire da sempre la costruzione di un’autostrada come Salerno-Reggio Calabria o che alimenta autentici colossi del malaffare come quelli emersi in questi mesi”. Va bene lo strabismo politico ma a tutto c’è un limite e l’on. Veltroni dovrebbe dirci dove era lui quando è emerso il malaffare di tangentopoli, dov’era in tutti questi anni in cui si è rappresentata la storia infinita della Salerno-Reggio Calabria, dov’era quando lo Stato si è indebitato a tal punto da trasformarsi in una idrovora avida della metà del lavoro delle aziende. E dov’erano lui e i partiti ai quali via via si è riferito, dal Pci al Pd, quando si sono gettate le basi della tragedia dei ragazzi precari “senza uno straccio di certezza, senza un euro per la pensione, senza un lavoro sicuro, senza una casa, senza la certezza di potere mettere al mondo dei figli”. Lui e i partiti ai quali si è riferito c’entrano qualcosa con la follia del tutto e subito che i sindacati chiedevano e ottenevano da una realtà economico-sociale assolutamente impreparata a soddisfare questa richieste e spogliata delle risorse necessarie al futuro di questi ragazzi? Questi ragazzi non riescono più a sorridere perché sono stati spogliati dall’egoismo dei loro genitori, il loro stato d’animo è privo di speranze, rassegnato ad una realtà precaria, incapace dei sussulti d’orgoglio dei giovani di una volta perché qualcuno li ha depredati del loro futuro, non sanno progettare perché sono consapevoli di essere fuori dai giochi, altro che avere “la sensazione di essere dentro una storia che va avanti” come auspica Severgnini. E quando l’on. Veltroni cade dalle nuvole chiedendo cosa sta accadendo a noi italiani, dovrebbe spiegarci lui che cosa sta accadendo interrogando la politica di cui è un insigne rappresentante, chiedendo a se stesso e agli altri attori della politica perché il costume si è così imbarbarito e darci risposte non demonizzando l’avversario, ché quello è già messo male di suo senza bisogno di essere sputtanato, ma informandoci su quello che la politica ha fatto per evitare la “profonda crisi del nostro sistema” e su quello che ancora farà.
E per favore non ci venga a parlare di populismo come se il populismo l’avesse inventato Berlusconi e lui stesso fosse indenne da quest’accusa piovutagli addosso proprio ad opera dei suoi amici di partito all’indomani della pubblicazione della sua lettera, non ci venga a parlare di “monarchia livida e pura difesa dell’esistente”, di democrazia a rischio “sotto la pressione delle spinte populiste e di dei conservatorismi di varia natura”, di “democrazia autoritaria”, quando semmai il problema è quello dell’assenza di una legittima capacità decisionale in grado di affrontare e risolvere in tempi brevi i problemi, che tanto avvilisce il Cavaliere e che lo stesso on. Veltroni lamenta. Se la parte politica dell’on. Veltroni, invece di gridare al golpe tutte le volte che si parla di modifica della Costituzione, desse un’occhiata in giro, si renderebbe conto che in democrazie molto più solide della nostra, come in Inghilterra, (è utile in proposito la lettura di un articolo di Piero Ostellino apparso sul Corriere del 23 agosto) non è scandaloso prevedere maggiori poteri per il Presidente del Consiglio tra cui quello di sciogliere le Camere e codificare con chiarezza il ritorno alle urne in caso di crisi della maggioranza eletta dai cittadini. Sicuramente verrebbe garantito il miglior funzionamento di uno Stato “forte e decidente” e si sottrarrebbero alibi alle lamentate tentazioni autoritarie del Cavaliere.
Infine quando l’on. Veltroni si rammarica che “se un milione e mezzo dei 38 milioni di votanti avesse scelto il centrosinistra riformista invece di Berlusconi ora saremmo noi a guidare il Paese”, invece di colpevolizzare gli italiani, si è chiesto perché questi elettori hanno scelto Berlusconi anziché il centrosinistra ed è proprio sicuro che il centrosinistra avrebbe fatto meglio alla luce del vuoto di contenuti che sta schierando nel campo dell’opposizione a Berlusconi? E le magnifiche sorti e progressive che l’on. Veltroni prefigura dopo la fine dell’era Berlusconi, basate su “schieramenti fondati sulla comunanza dei valori e dei progetti capaci di riconoscersi e legittimarsi reciprocamente”, è proprio sicuro che allieteranno la travagliata vita degli italiani?
Ho un’età che mi permette di ricordare con preoccupazione che cosa ha significato per l’Italia la comunanza di interessi tra i due maggiori partiti italiani d’allora, la Dc e il Pci, che sottobanco decidevano cosa fare delle sorti degli italiani colludendo in un consociativismo che è stato il forcipe dei mali che ancora ci affliggono.

3 commenti:

  1. Mi trovo daccordo con tutto quello che ho letto su questo post del quale apprezzo anche lo stile ironico e pungente, tranne per due punti. Il primo riguarda il paragone con lInghilterra dove il capo del governo ha il potere di sciogliere le camere etc... ma dove, credo, non verrebbe mai permesso ad un presidente del consiglio di controllare metà, se non di più, dell'informazione e questo ci porta al secondo punto cioè la domanda sul perchè gli Italiani abbiano scelto questa parte politica piuttosto che quell'altra. Oltre alle evidenti colpe di una sinistra frastagliata e senza "appeal" (eh già, oggi in questa socetà dell'immagine conta anche quello) e soprattutto priva di un vero leader che non sia uno di quelli che si muovono dietro le quinte, la differenza può averla fatta proprio quel potere mediatico dove uno ha sicuramente una supremazia rispetto all'altro in un paese dove la maggior parte delle persone si fa un' idea politica attravarso la televisione. I comizi in piazza sono passati di moda.
    Saluti.

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  2. A geko68 non auspico che siano concessi più poteri a Berlusconi che è già abbastanza potente di suo, auspico che in Italia l'Esecutivo abbia gli strumenti per meglio governare.

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  3. E' indubbio che qualcosa andrebbe rivista anche per quanto riguarda gli strumenti che un governo ha a disposizione per meglio governare, stando sempre però attenti a preservare quegli organi di controllo che sono il Capo dello Stato, il Parlamento e la Corte Costituzionale ma soprattutto far si che anche il cittadino venga liberato da tutta una serie di impedimenti burocratici che ne limitano l'iniziativa imprenditoriale come ad esempio la trafila ,i costi e le lungaggini a cui va incontro nel caso volesse ottenere, per esempio, una licenza commerciale, cosa che questo governo si era promesso di fare ma che poi ha lasciato nel dimenticatoio. Non parlo di una deregulation ma almeno di un qualche snellimento nella vita di chi ha scelto di mettersi in proprio.
    Saluti.

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