Nello scontro tra Fini e Berlusconi il primo ha rivendicato la sua aspirazione ad una destra moderna non spiegandoci però che cosa intende per destra moderna ed anzi distinguendosi per assenza di contenuti nell’azione di contrasto a Berlusconi.
Sia chiaro che si possono comprendere i motivi di un dissenso epidermico con un modo di fare politica, il cosiddetto berlusconismo, che suscita perplessità e urtica la sobrietà di chi dalla politica si attende fatti e stile. Ma, ripetiamo, qual è il contributo di Fini in termini di proposte concrete e alternative al populismo affabulatorio di Berlusconi?
Ricordo l’entusiasmo per le aspettative che F. I., al suo nascere, suscitò in tanti liberali da sempre orfani di una rappresentanza sulla scena politica italiana.
C’erano anche i i reduci della diaspora socialista in cerca di una nuova casa e i furbi che fiutavano il vento favorevole, ma c’erano soprattutto loro, i liberali di formazione anglosassone che si ispiravano al liberalismo empirico degli Stuart Mill, alla tolleranza dei Locke, alla passione che muove la ragione degli Hume, alla logica di mercato che non obbedisce all’etica della giustizia sociale ma a ragioni di reciproca convenienza e di sano egoismo dei contraenti che, per i risultati che producono, si fanno etiche anche se rifuggono da comportamenti morali. Quel liberalismo, per intenderci, che fonda i suoi valori sulle scelte della coscienza individuale la quale, a sua volta, non muove da astrazioni ideologiche ma dalla constatazione di ciò che serve fare non per realizzare il maggior bene in assoluto ma per eliminare il ”disagio” che di volta in volta ci affligge, per attuare ciò che è possibile, per consentire a ciascuno di raggiungere la propria felicità, di esercitare la libertà negativa intesa come libertà dal bisogno piuttosto che la libertà positiva che crea la giungla dei diritti, provoca la bulimia delle aspettative da soddisfare ad ogni costo e schiaccia la capacità di iniziativa soppiantata dall’attesa del beneficio mendicato, che oppone la dottrina sociale a quella della responsabilità e l’uguaglianza alla libertà, che rischia di “trasformare i desideri particolari in diritti universali” (Ostellino).
Si fronteggiano due visioni della vita, l’una, quella liberale dei Berlin e degli Hayek, del riformismo graduale e concreto, convinta che la realtà sia perfettibile ma senza illusioni circa la realizzazione di una società perfetta, l’altra, velleitaria, che si rifà allo scientismo razionalistico ed è protesa verso la realizzazione di una realtà utopica in cui tutto è consentito pur di centrare l’obiettivo, persino la creazione di uno Stato etico e autoritario in nome di una pretesa superiorità morale e politica.
La prima concezione ha i suoi epigoni nella politica inglese dei Brown, dei Cameron, dei Clegg, l’uno laburista, l’altro conservatore,l’altro liberale, i quali, pur nella diversità delle rispettive posizioni, sono accomunati dalla consapevolezza di ciò che è utile per il Paese, dalle scelte che il momento impone senza preclusioni di carattere ideologico e dalla chiarezza nella proposizione di programmi concreti contenenti l’elenco dei progetti e delle loro modalità di realizzazione che ciascuno offre agli elettori. La seconda concezione ha trovato piena realizzazione in Italia dove consociativismo, assistenzialismo, statalismo, dilatazione della spesa pubblica, parassitismo, oppressione fiscale, corporativismo e poteri forti, il giacobinismo di leggi eccezionali che offendono gli elementari diritti dei singoli, affliggono da sempre la nostra società e si saldano al populismo degli ultimi anni.
Ci piacerebbe sapere a quale partito si iscrive Fini, soprattutto conoscere che cosa egli intende per destra moderna e quale è il progetto che ad essa si ispira, sì da essere messi nelle condizioni di capire il senso del suo dissenso.
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