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martedì 18 maggio 2010
La corruzione in Italia
I casi di corruzione che stanno emergendo suggeriscono, pur con le doverose cautele che un’indagine agli albori impone, amare riflessioni su un’Italia inguaribile che non perde il vizietto di rubare e non limita la sua vocazione all’illegalità alla sola politica, ma l’estende all’intero tessuto sociale. Purtroppo quando parliamo di un’Italia ladrona parliamo di un virus che attraversa l’intera società, di un universo che ha fatto della rinuncia alla legalità la scelta del suo rapporto con lo Stato e non ha saputo cogliere il giusto mezzo aristotelico tra il troppo grande profitto personale e il troppo piccolo tributo alla collettività, di un popolo marcio non tanto e non solo perché corrotto ma perché ha coltivato l’abitudine alla corruzione facendone il suo abito mentale, ammirando i furbi che corrompono e sognando di imitarli. Se la punta dell’iceberg costituita da politici, da grand commis di stato, da imprenditori ammanigliati è quella che si libra sui cieli del grosso malaffare, l’humus nel quale alligna il malaffare è la diffusa indifferenza al civismo e al senso del bene comune. E, quel che è peggio, chi delinque a quei livelli sa di potere contare sull’impunità che gli deriva dalle relazioni coltivate e dall’enormità degli interessi in ballo che fanno sistema e garantiscono un atterraggio morbido. Quando Galli della Loggia afferma che “le carceri italiane sono piene quasi soltanto di poveri diavoli, perché se si è un borghese facoltoso, come in genere sono coloro che incappano in un reato di corruzione (e cioè con un buon avvocato e buone relazioni), è rarissimo vedersi condannati in via definitiva a pene che non siano simboliche o quasi”, dice cosa giusta ma bisogna intendersi sul senso di “poveri diavoli”. Abbiamo la tendenza a considerare poveri diavoli i ladri di galline, gli ultimi di una società che non ha saputo offrire loro alternative, frutto della inadeguatezza dello Stato a prevenire e a redimere, che quindi suscitano il nostro senso di colpa. Rimoviamo il senso di colpa denunciando l’ingiustizia che colpisce i più deboli, anche se non siamo capaci di opporci all’intransigenza del ministro dell’interno che boccia il decreto cosi detto svuota carceri negando la possibilità di scontare l’ultimo anno di carcere agli arresti domiciliari o in affidamento ai servizi sociali, e così mettendo a posto la nostra coscienza . Ma i poveri diavoli non sono solo i ladri di galline, lo sono a maggior ragione i dannati dei circuiti dell’alta sicurezza affidati al regime di leggi speciali e dimenticati da una società che ha nei loro confronti la stessa indifferenza che ha nei confronti della legalità, affidati a condizioni infami che offendono gli elementari diritti dell’uomo da solerti forcaioli che vogliono far dimenticare con fughe in avanti i loro scheletri nell’armadio. I ladroni in guanti bianchi sono il contraltare della dabbenaggine di questa genia di poveri diavoli che non ha capito come va il mondo e le cui vite continueranno ad essere date in pasto ad un opinione pubblica incitata al linciaggio allo scopo di distrarre l’attenzione dalle ruberie dei quartieri alti del malaffare.
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