Il terremoto di Haiti è una tragedia che ci presenta il conto di un numero impressionante di vittime e, attraverso lo sguardo smarrito dei superstiti, ci trasmette la sensazione di impotenza dell’uomo al cospetto della natura. E’ una tragedia che ci richiama alla nostra piccolezza, ad una ineluttabilità che non riusciamo a fronteggiare, alla crudeltà degli elementi naturali che rivendicano la loro primazia e impongono con furore le loro ragioni.
Gli esperti di geologia ci spiegano che la crosta della terra è suddivisa in tanti pezzi chiamati placche che si scontrano fra loro, alcune inabissandosi, altre scivolando sullo stesso piano e sviluppando, allorché si scontrano, energie che come in una pentola ribollono in attesa di esplodere laddove la crosta è spaccata dalle cosiddette faglie. Haiti ha la disgrazia di essere un vaso di coccio tra vasi di ferro, emerge dalla placca caraibica che si scontra al nord con la grande placca nordamericana e a sud con la altrettanto estesa placca sudamericana, ha nel suo seno la faglia Enriquillo - Plantain – Garden, il punto debole in cui l’energia prodotta ha potuto insinuarsi ed esplodere.
Fin qui le considerazioni tecniche, ma che dire dell’elemento umano? Potevano, nonostante tutto, essere evitate tutte queste vittime?
Si, se, conoscendo la natura del luogo, l’uomo si fosse comportato di conseguenza. Se infatti la costruzione degli edifici avesse obbedito a severi criteri antisismici, il numero delle vittime sarebbe stato di poche decine anziché di decine di migliaia.
La povertà ha impedito costi insostenibili e ha creato le premesse della tragedia!
Povertà e degrado sociale sono la realtà scoperchiata dal terremoto e le immagini delle condizioni di vita inumane in cui versano gli haitiani, dei morti che si aggiungono ai morti e degli amputati che perdono arti perché mancano le strutture che potrebbero salvare vite ed arti, sono rimbalzate come un pugno nello stomaco nelle nostre coscienze a decretare la sconfitta di noi tutti, indifferenti testimoni delle tante realtà degradate e lontane dalla nostra opulenza ma che ci riguardano e di cui, in quanto uomini, portiamo la responsabilità.
Da tutti gli angoli del pianeta, l’umanità, obbedendo alla propria natura che si realizza nella relazione con l’altro, che soffre della sofferenza altrui, che si gratifica nel donare aiuto, si è avventata sul cataclisma haitiano beandosi della propria generosità ma arrivando in ritardo.
Se le energie profuse nell’aiutare le popolazioni vittime del terremoto fossero state impiegate per tempo in una opera di impulso all’economia, di prevenzione, di contribuzione alla formazione di una identità più compiuta di quel popolo e della sua capacità di progettare e costruire un futuro degno, probabilmente non saremmo impegnati a contare tanti morti. E invece siamo qui a piangere sul latte versato, carichi delle più nobili intenzioni in attesa della prossima tragedia annunciata.
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