Mi giungono diverse lettere dalle carceri, lamenti di anime provate da esperienze che hanno stravolto intere vite.
Sono le esperienze di quanti, attraverso il delitto, hanno fatto torto alla propria umanità e avvertono il peso di un futuro senza speranza, ma sono anche le esperienze inflitte da una detenzione che ha dimenticato l’eredità dei lumi. Le condizioni inumane in carcere sono il frutto avvelenato della cultura becera di una certa classe politica, della indifferenza con cui l’opinione pubblica ignora una realtà che, voglia o non voglia, le appartiene rimuovendo clamorosi episodi di violenza, della insensibilità di chi dovrebbe scandalizzarsi e non lo fa offrendo a coloro che legiferano e applicano le leggi, l’alibi per il loro cinismo.
Noi tutti che facciamo spallucce e dimentichiamo quello che è accaduto a Cucchi e a Bianzino o facciamo finta di non sapere cosa accade ogni giorno nelle carceri, noi che non riusciamo a indignarci di fronte all’infamia del 41 bis e dell’ergastolo, rischiamo di diventare una massa informe che, abdicando alla propria identità, accetta di abdicare ai propri diritti.
Accettiamo, senza battere ciglio, che una antimafia isterica e faziosa esponga in vetrina capipopolo assetati di sangue alla ricerca di scorciatoie per carriere altrimenti impensabili,che intellettuali o presunti tali si adagino sulla comoda poltrona del politicamente corretto seguendo, anzi incoraggiando, una conveniente deriva forcaiola invece di riconoscere con Gibran che il male non sta tutto da una parte e che vale la pena intestarsi battaglie scomode, che la magistratura si impadronisca delle nostre vite senza rispondere delle proprie responsabilità e che i politici facciano fughe in avanti incalzati dalla loro viltà e dal terrore del sospetto.
Il risultato è il desolante panorama di una società dalla connotazione incerta in cui tutto può accadere, persino che detenuti che si sono macchiati dei delitti più terribili siano mondati dalla tortura del carcere e assumano il ruolo di vittime, ma anche che il ministro che ha inasprito la tortura se ne vanti, che il DAP ammetta gli errori e gli abusi commessi contro Cucchi e tuttavia gli agenti penitenziari neghino le loro responsabilità, che la pietà sia latitante e il suo posto sia usurpato dal’intransigenza e dalla intolleranza di verità precostituite e obiettivi prefissati che fanno dell’elementare rispetto per l’uomo una variabile soggetta ad arbitrio.
Si capisce allora perché una società siffatta tolleri che i suoi anziani rovistino nei bidoni dell’immondizia nella stagione della loro maggiore fragilità, che nelle livide notti di Natale e Capodanno gli emarginati sociali vivano disperatamente la loro solitudine nel frastuono di suoni e schiamazzi indifferenti, che ai familiari di Cucchi sia negato il diritto di visitare il loro congiunto che di lì a poco andrà incontro alla morte, che un bambino di 7 anni muoia in ospedale per le conseguenze di una banale ingessatura troppo stretta applicata all’arto sano ignorando i lamenti e le proteste per il dolore provocato dall’ingessatura,che scatti una vera e propria caccia all’uomo per il colore della sua pelle, che ai detenuti in regime di 41 bis sia negato il diritto di abbracciare i propri cari, che uomini abbandonati all’inferno delle loro anime si suicidino con cadenza regolare nelle nostre carceri, che nel fascicolo dei detenuti condannati all’ergastolo sia impresso il terribile epitaffio: fine pena, mai!, che agenti penitenziari alle prese con la realtà drammatica della detenzione, finiscano travolti nel destino dei detenuti e si trasformino da “carnefici” in vittime delle loro “vittime”.
Una società siffatta ha tollerato che si recidesse il legame che riconosce nell’esistenza dell’altro la propria esistenza, ha rinunciato alla propria umanità e ha segnato la propria sorte.
Nonostante tutto, buon anno!
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