Lo Stato ha vinto la lotta contro la mafia, il giocattolo si
è rotto. Quanti hanno condotto la giusta battaglia avendo anche come obiettivo
collaterale una visibilità che li proiettasse verso carriere altrimenti
impensabili, si debbono rassegnare, con la vittoria hanno realizzato anche una
sconfitta, quella delle loro ambizioni. Ed è inutile praticare la respirazione
bocca a bocca a un cadavere agitando lo spettro di una emergenza che non c’è e ricorrendo
per questo scopo a mistificazioni. E’ un pessimo servizio alla verità far
passar per mafiosi malecarni che sono solo le grottesche controfigure degli
autentici mafiosi, esemplari della bassa manovalanza criminale improbabili
nelle vesti di mammasantissima che però, grazie a questa operazione di
maquillage, tornano utili per tenere viva la sindrome dell’emergenza mafiosa. Nessuno
mi può convincere che quei quattro scappatidicasa incappati nelle ultime
retate, in palese crisi di una identità che cercano di recuperare annacandosi, siano
gli eredi di quella che fu Cosa nostra. Un altro pessimo servizio alla verità è
il modo in cui è stata declinata la vicenda delle esternazioni di Riina
intercettate in carcere. Appare evidente
a chiunque che lo sproloquio di Riina era lo sfogo rabbioso di un uomo in
gabbia e ormai fuori gioco che ruggiva senza avere i denti per addentare. A chi
poteva far pervenire la sua voglia di uccidere il dottore Di Matteo il capo dei
capi? Ristretto in regime di 41 bis, come faceva a superare le maglie di una
delle censure più severe al mondo e far giungere un suo messaggio all’esterno? Appare chiaro che, se fosse rimasto confinato
entro le mura del carcere, quello sfogo non avrebbe costituito alcun pericolo,
un pericolo lo è diventato nel momento in cui è stato propalato e ha rischiato
di diventare un messaggio per gli accoliti di Riina. Il dottore Di Matteo deve
quindi ringraziare gli zelanti cultori dell’emergenza per il servizio che gli
hanno reso, agitando per puro calcolo lo spettro di un pericolo che in partenza
non esisteva e mettendo, loro si, a rischio la sua vita pur di cavalcare un
redditizio clima d’allarme. L’accusa di Sgarbi secondo cui la vicenda è stata
montata ad arte per promuovere l’immagine del dottore Di Matteo, appartiene
alla sua convinzione e ne risponde solo lui, ma non c’è dubbio che il clima
preoccupa. Dal governo dei filosofi di Platone passando per la volontà generale
di Rousseau, siamo arrivati alla repubblica dei magistrati. I magistrati,
guardiani della democrazia, si propongono quali protagonisti di essa in un
conflitto di interessi che fa coincidere il controllore col controllato. Ci
sono tutte le avvisaglie di questa deriva e chi ha a cuore la sorte del nostro
futuro democratico, ha il dovere di combattere il pericolo di una dittatura del Grande Fratello
che fa dell’etica il suo fine e tutto scruta con sospetto (il sospetto, si sa,
è l’anticamera della verità), su tutto vigila, presumendo la colpevolezza di
ciascuno fino a prova contraria e candidando tutti a vestire prima o poi i
panni di imputati.
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