In seguito alla vicenda Weinstein, è esplosa una
inarrestabile girandola di accuse che denunciano violenze e abusi sessuali in
un crescendo dovuto per lo più ad una maggiore presa di coscienza della donna
che adesso più di prima ha il coraggio di denunciare ma che declina la propria
rabbia con un lessico da resa dei conti che non può non preoccupare. E’ chiaro che
non ci possono essere indulgenze nei confronti di chi si macchia di un reato
odioso quale è l’abuso contro una donna, quando esso è accertato, ma la severità nei confronti delle molestie sessuali
non può tramutarsi in una caccia all’orco, in una sorta di crociata che opera
una demonizzazione di genere e incita all’odio contro l’uomo. La criminalizzazione dell’uomo e la santificazione
della donna sono ormai diventati gli ingredienti ricorrenti nella narrazione
del rapporto tra uomo e donna così come ci viene proposta da un manicheismo che
vede il male solo da una parte. In verità mi riesce difficile percepire come delle
sante la signora che al semaforo mi ha
apostrofato con un perentorio “Muoviti coglione” solo perché non sono stato
pronto a scattare all’apparire del verde, o l’altra signora della buona
borghesia che sempre al semaforo mi ha altrettanto perentoriamente intimato di
“farmi i cazzi miei” solo perché, preoccupato per la sua incolumità, mi ero
permesso timidamente di avvertirla che stava attraversando col rosso, o le
maestre che terrorizzano i bambini affidati alle loro cure. Parlare di santità
è impegnativo in una società in cui persino il dramma dell’abuso subisce un
secondo abuso da parte di chi lo strumentalizza in nome della donna per
consumare esecuzioni sommarie sulla scorta di accuse ancora da provare e sull’altare
di un giustizialismo strumentale che sazia la sete di sangue dell’opinione
pubblica. L’uomo e la donna da sempre hanno convissuto all’insegna di una
solidarietà complice fatta d’amore, di tolleranza, della saggezza necessaria a
superare le asperità che insorgono nel cammino di una coppia, una complicità progenitrice
di affetti consolidati che non può essere messa in discussione dalla follia di
alcuni sciagurati. Fare un salto nel buio e sperimentare una società nuova
basata sul conflitto di genere non credo giovi a nessuno, mentre è invece il
caso di rimboccarsi le maniche e riannodare i fili di una rapporto tra uomo e
donna all’insegna del legame d’amore che ha dato inizio alla loro storia, della
capacità di dialogare e naturalmente dello sforzo dell’uomo di superare certi
schemi mentali e schierarsi senza riserve. Donna e uomo assieme devono condurre
la comune battaglia contro la violenza senza rancorose contrapposizioni, la
donna non prestando il fianco al clima avvelenato e, consapevole dei suoi
diritti e del giusto mezzo per farli valere, denunciando in tempo gli episodi di cui è
vittima, affidandosi alla sobrietà di un’aula di tribunale e resistendo ai
richiami delle sirene di un qualunquismo becero, l’uomo ponendosi fermamente al
suo fianco e facendosi difensore primo di diritti che non riguardano solo la
donna ma l’intera umanità e dunque se stesso. E allora va bene punire
severamente e in maniera esemplare i colpevoli, purché ciò avvenga nelle sedi
competenti, senza linciaggi in piazza e senza semplificazioni frettolose per il puro gusto del coup de théatre e per
interessi di bottega di un moloch mediatico che ha perduto il senso del limite.
Non dimentichiamo poi che assieme ai presunti colpevoli ci sono i loro familiari,
vittime al pari delle donne abusate dei danni collaterali di una violenza cieca
che non ha rispetto per la loro sofferenza.
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