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domenica 26 novembre 2017

La caccia ai satiri

In seguito alla vicenda Weinstein, è esplosa una inarrestabile girandola di accuse che denunciano violenze e abusi sessuali in un crescendo dovuto per lo più ad una maggiore presa di coscienza della donna che adesso più di prima ha il coraggio di denunciare ma che declina la propria rabbia con un lessico da resa dei conti che non può non preoccupare. E’ chiaro che non ci possono essere indulgenze nei confronti di chi si macchia di un reato odioso quale è l’abuso contro una donna, quando esso è accertato, ma la  severità nei confronti delle molestie sessuali non può tramutarsi in una caccia all’orco, in una sorta di crociata che opera una demonizzazione di genere e incita all’odio contro l’uomo.  La criminalizzazione dell’uomo e la santificazione della donna sono ormai diventati gli ingredienti ricorrenti nella narrazione del rapporto tra uomo e donna così come ci viene proposta da un manicheismo che vede il male solo da una parte. In verità mi riesce difficile percepire come delle sante  la signora che al semaforo mi ha apostrofato con un perentorio “Muoviti coglione” solo perché non sono stato pronto a scattare all’apparire del verde, o l’altra signora della buona borghesia che sempre al semaforo mi ha altrettanto perentoriamente intimato di “farmi i cazzi miei” solo perché, preoccupato per la sua incolumità, mi ero permesso timidamente di avvertirla che stava attraversando col rosso, o le maestre che terrorizzano i bambini affidati alle loro cure. Parlare di santità è impegnativo in una società in cui persino il dramma dell’abuso subisce un secondo abuso da parte di chi lo strumentalizza in nome della donna per consumare esecuzioni sommarie sulla scorta di accuse ancora da provare e sull’altare di un giustizialismo strumentale che sazia la sete di sangue dell’opinione pubblica. L’uomo e la donna da sempre hanno convissuto all’insegna di una solidarietà complice fatta d’amore, di tolleranza, della saggezza necessaria a superare le asperità che insorgono nel cammino di una coppia, una complicità progenitrice di affetti consolidati che non può essere messa in discussione dalla follia di alcuni sciagurati. Fare un salto nel buio e sperimentare una società nuova basata sul conflitto di genere non credo giovi a nessuno, mentre è invece il caso di rimboccarsi le maniche e riannodare i fili di una rapporto tra uomo e donna all’insegna del legame d’amore che ha dato inizio alla loro storia, della capacità di dialogare e naturalmente dello sforzo dell’uomo di superare certi schemi mentali e schierarsi senza riserve. Donna e uomo assieme devono condurre la comune battaglia contro la violenza senza rancorose contrapposizioni, la donna non prestando il fianco al clima avvelenato e, consapevole dei suoi diritti e del giusto mezzo per farli valere,  denunciando in tempo gli episodi di cui è vittima, affidandosi alla sobrietà di un’aula di tribunale e resistendo ai richiami delle sirene di un qualunquismo becero, l’uomo ponendosi fermamente al suo fianco e facendosi difensore primo di diritti che non riguardano solo la donna ma l’intera umanità e dunque se stesso. E allora va bene punire severamente e in maniera esemplare i colpevoli, purché ciò avvenga nelle sedi competenti, senza linciaggi in piazza e senza semplificazioni frettolose  per il puro gusto del coup de théatre e per interessi di bottega di un moloch mediatico che ha perduto il senso del limite. Non dimentichiamo poi che assieme ai presunti colpevoli ci sono i loro familiari, vittime al pari delle donne abusate dei danni collaterali di una violenza cieca che non ha rispetto per la loro sofferenza.

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