Visualizzazioni totali

mercoledì 13 dicembre 2017

Credere nella giustizia


Con il suo solito senso d’umanità Totò Cuffaro ha preso posizione sulla vicenda Dell’Utri stigmatizzando il trattamento riservato dallo Stato all’ex senatore ma non mancando di dichiarare che continua ad avere fiducia nella giustizia. Il dottore Cuffaro non me ne voglia, ma ho l’impressione che egli si sia avvitato in una sorta di cortocircuito ossimorico. Come può infatti egli dichiarare di avere fiducia nella stessa giustizia che dichiara di contestare? E’ una contraddizione in termini. Continuare a credere nella giustizia così come è amministrata da questo Stato, dottore Cuffaro, nonostante la vicenda Dell’Utri e la tragedia di tanti disgraziati finiti nell’inferno del 41 bis, continuare a credere in questa giustizia avendo come costante compagno il ricordo del mio dirimpettaio di cella privo di tutte e due le gambe amputate a causa di un diabete maligno che gli aveva eroso le ossa, e tuttavia costretto ad arrancare in carcere nella sedia a rotelle, continuare a credere nella giustizia di questo Stato e pensare ad Enrico affetto da AIDS che trascinava quello che era rimasto del suo povero corpo in attesa di morire, o a Vincenzo che con la sua bocca sdentata e il suo sguardo mite mi rivolgeva una muta domanda per capire il motivo della sua detenzione a ottant’anni, lontano dall’ultimo affetto che gli restava, una figlia allo sbando, continuare a credere nella giustizia e sentire echeggiare nella mia mente le urla disumane di un uomo che ha gridato invano il suo dolore per cinque interminabili notti fino a che non è stato  condotto in ospedale giusto in tempo perché il suo cuore scoppiasse, continuare a credere nella giustizia nonostante sia rimasto immobilizzato e senza cure nella branda della cella per 10 giorni con una polimiosite devastante che ha messo a rischio la mia vita fino a quando, invece di ricoverarmi d’urgenza, non mi hanno trasferito in quelle condizioni da Pagliarelli a Voghera e lì mi hanno salvato grazie alla esterrefatta pietà del medico di quel carcere, credere nella giustizia nonostante il ricordo degli spazi angusti in cui ero costretto in compagnia di una umanità che mescolava le proprie miserabili esigenze senza il pudore di una pur minima dignità umana, nonostante i mille casi Dell’Utri che non vengono allo scoperto perché i loro titolari non hanno la notorietà del senatore? E’ questa giustizia? No dottore Cuffaro, riesce difficile avere fiducia in una giustizia che pratica la tortura e rende attuale, a distanza di millenni,  il pessimismo di Trasimaco al quale Platone fa dire che la giustizia è l’interesse del più forte, un universo spietato dove persino alla sofferenza è riservato un trattamento diseguale a seconda del censo. Se ne è avuta la prova proprio con la vicenda Dell’Utri che ha visto insorgere i soliti sepolcri imbiancati dalla doppia morale che, mentre piangono per la sorte di quello che sentono come uno di loro, ignorano la sofferenza dei tanti infelici senza santi in paradiso, per i quali anzi invocano pene più severe. Anche questa, dottore Cuffaro, è ingiustizia.  Avrei voluto dirle tutto ciò in occasione della presentazione del suo libro lunedì al Don Bosco ma ho desistito perché mi sono reso conto che il contesto non si prestava e perché, lo debbo confessare, non me la sono sentita di affrontare le narici fumanti della straripante folla dei suoi amici in platea.                                                                                    

Nessun commento:

Posta un commento