Con il suo solito senso d’umanità Totò Cuffaro ha preso
posizione sulla vicenda Dell’Utri stigmatizzando il trattamento riservato dallo
Stato all’ex senatore ma non mancando di dichiarare che continua ad avere
fiducia nella giustizia. Il dottore Cuffaro non me ne voglia, ma ho
l’impressione che egli si sia avvitato in una sorta di cortocircuito ossimorico.
Come può infatti egli dichiarare di avere fiducia nella stessa giustizia che
dichiara di contestare? E’ una contraddizione in termini. Continuare a credere
nella giustizia così come è amministrata da questo Stato, dottore Cuffaro, nonostante
la vicenda Dell’Utri e la tragedia di tanti disgraziati finiti nell’inferno del
41 bis, continuare a credere in questa giustizia avendo come costante compagno
il ricordo del mio dirimpettaio di cella privo di tutte e due le gambe amputate
a causa di un diabete maligno che gli aveva eroso le ossa, e tuttavia costretto
ad arrancare in carcere nella sedia a rotelle, continuare a credere nella
giustizia di questo Stato e pensare ad Enrico affetto da AIDS che trascinava
quello che era rimasto del suo povero corpo in attesa di morire, o a Vincenzo
che con la sua bocca sdentata e il suo sguardo mite mi rivolgeva una muta
domanda per capire il motivo della sua detenzione a ottant’anni, lontano
dall’ultimo affetto che gli restava, una figlia allo sbando, continuare a
credere nella giustizia e sentire echeggiare nella mia mente le urla disumane di
un uomo che ha gridato invano il suo dolore per cinque interminabili notti fino
a che non è stato condotto in ospedale
giusto in tempo perché il suo cuore scoppiasse, continuare a credere nella
giustizia nonostante sia rimasto immobilizzato e senza cure nella branda della
cella per 10 giorni con una polimiosite devastante che ha messo a rischio la
mia vita fino a quando, invece di ricoverarmi d’urgenza, non mi hanno
trasferito in quelle condizioni da Pagliarelli a Voghera e lì mi hanno salvato
grazie alla esterrefatta pietà del medico di quel carcere, credere nella
giustizia nonostante il ricordo degli spazi angusti in cui ero costretto in
compagnia di una umanità che mescolava le proprie miserabili esigenze senza il
pudore di una pur minima dignità umana, nonostante i mille casi Dell’Utri che
non vengono allo scoperto perché i loro titolari non hanno la notorietà del
senatore? E’ questa giustizia? No dottore Cuffaro, riesce difficile avere
fiducia in una giustizia che pratica la tortura e rende attuale, a distanza di
millenni, il pessimismo di Trasimaco al
quale Platone fa dire che la giustizia è l’interesse del più forte, un universo
spietato dove persino alla sofferenza è riservato un trattamento diseguale a
seconda del censo. Se ne è avuta la prova proprio con la vicenda Dell’Utri che
ha visto insorgere i soliti sepolcri imbiancati dalla doppia morale che, mentre
piangono per la sorte di quello che sentono come uno di loro, ignorano la
sofferenza dei tanti infelici senza santi in paradiso, per i quali anzi
invocano pene più severe. Anche questa, dottore Cuffaro, è ingiustizia. Avrei voluto dirle tutto ciò in occasione
della presentazione del suo libro lunedì al Don Bosco ma ho desistito perché mi
sono reso conto che il contesto non si prestava e perché, lo debbo confessare, non
me la sono sentita di affrontare le narici fumanti della straripante folla dei
suoi amici in platea.
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