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mercoledì 28 settembre 2016

Il discrimine

L’ingiustizia in Italia dà il peggio di sé quando marca la differenza tra la sorte degli ultimi che pagano fino in fondo il fio delle loro colpe e quella dei privilegiati che navigano nel mare dell’impunità. L’elenco dei casi di potenti che, nonostante condanne pesanti, si sottraggono alle pene grazie al censo che permette loro di imboccare costose scorciatoie, si spreca, come si spreca la lista dei poveri cristi che affollano le patrie galere. A parole sono in molti a denunciare questa evidente disparità, mostrando di ispirarsi a principi di equità e producendosi in esternazioni accorate con un’enfasi pari alla sfrontatezza con la quale alcuni di essi difendono la loro impunità. E’la doppiezza morale di sempre denunciata da Trasimaco quando definisce la giustizia l’interesse del più forte, non immaginando che persino nella stesura dell’elenco dei colpevoli vessati dai rigori della legge avrebbe fatto capolino una buona dose di classismo. Quanti infatti insorgono in difesa di Caino facendo un discrimine tra chi merita misericordia e chi no, operano una distinzione classista nel mondo di disperati che non fa alcuna considerazione di merito. Gli emigranti, gli spacciatori, i delinquenti di piccolo cabotaggio che non possono contare sulle scorciatoie riservate ai potenti, possono contare sulla solidarietà dei sacerdoti del politicamente corretto perché si prestano ad essere pretesto di un buonismo a buon mercato esibito più che sentito sinceramente, giusto per lustrare il pedigree del buon samaritano. E’ una solidarietà pelosa espressa per lo più da cialtroni in marsina che si riempiono la bocca con proclami inneggianti a nobili concetti puntualmente traditi sull’altare dell’interesse personale, una solidarietà nella quale non trovano posto mafiosi e affini, merce avariata inutilizzabile per masturbazioni moraleggianti. Persino il Papa che ha fatto della misericordia la cifra del suo apostolato, li discrimina. Ad essi tocca d’essere confinati nel recinto dei reietti dove non valgono le regole, d’essere considerati ectoplasmi privi dei diritti fondamentali nell’indifferenza della cosiddetta società civile. Relegati nel girone degli orrori, oggetto del disprezzo della gente, godono in compenso dell’attenzione dello Stato che su di loro infierisce con spirito di vendetta. E’ il tramonto dell’epica sciagurata della mafia costretta a subire il discrimine persino rispetto ai malacarne di bassa lega, ma è anche l’eclissi dello Stato di diritto che ha rinunciato ai propri principi fondanti in nome della sicurezza, e delle coscienze libere che hanno rinnegato la lezione dei lumi decidendo chi ha diritto o meno ad essere considerato uomo.  

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