Di caso in caso si snoda il
rosario di una particolarità tutta italiana, la corruzione. L’ultimo caso ha
portato agli arresti di Incalza e Perotti e ha coinvolto il ministro Lupi
costringendolo alle dimissioni, anche se, da ciò che risulta dalle
intercettazioni, non pare che egli si sia macchiato di alcunché di penalmente
illecito. Dunque Lupi non ha commesso nessun reato, e tuttavia si è dovuto dimettere.
Come mai? A parte la bulimia del razziatore Renzi che non si è lasciato
sfuggire l’occasione, Lupi se l’è cercata. Dalle intercettazioni infatti, pur
non risultando niente di illecito a suo carico, emerge un quadro imbarazzante
che relega un ministro della Repubblica al ruolo di comparsa. Viene fuori che
il ministro nutriva una sorta di subalternità nei confronti di Incalza al punto
da belare straparlando di crisi di governo in difesa del suo burocrate e
tollerare che quest’ultimo, secondo quanto sostenuto dagli inquirenti, pilotasse
in tutta tranquillità la maggior parte delle gare d’appalto delle Grandi opere
imponendo alle aziende una maggiorazione dei costi e la direzioni dei lavori
per milioni di euro a favore di Perotti. Al di là di quello che sostengono gli
inquirenti, è un fatto che l’elenco delle direzioni dei lavori affidati a
Perotti è infinito, manco fosse egli l’unico con i requisiti giusti in
circolazione, e avrebbe dovuto insospettire. E invece, non solo il ministro non
si è fatto sfiorare da alcun dubbio e non ha stroncato l’andazzo, o almeno
assunto un atteggiamento di maggiore cautela nei rapporti con i due, ma
addirittura, quando ha avuto bisogno di trovare un lavoro al figlio, si è
rivolto al superburocrate per risolvere il problema. Vengono in mente i tanti
figli di madre con lo stesso problema del giovane Lupi che, non avendo un
Incalza tra i santi in paradiso, sono costretti a rivolgersi all’ufficio di
collocamento con i risultati che possiamo immaginare. Ercolino campeggia come
il vero dominus del dicastero al quale bisognava rivolgersi per la soluzione
dei problemi di qualsiasi natura, fossero essi personali o attinenti l’ufficio.
Tutto passa attraverso di lui, e dall’inchiesta si è visto quale ben di Dio,
senza che ci sia un’assunzione di responsabilità da parte del ministro il quale
appare incapace di tenere sotto controllo quello che accade attorno a lui. E
quando Perotti muove le sue pedine per trovare una sistemazione al figlio del
ministro, questi non si fa scrupolo di accettare che ciò avvenga, contraendo un
debito con un uomo col quale avrebbe dovuto evitare persino la confidenza di un
caffè. Sicuramente non ha saldato il debito concedendo qualcosa in cambio (a
questo provvedeva Incalza), indubbiamente il rapporto d’amicizia tra il
ministro e l’imprenditore risale a tempi non sospetti ma non c’è dubbio neanche
che il rapporto avrebbe dovuto essere confinato entro paletti ben precisi nel
momento in cui poteva prestarsi a sospetti. Non è emerso nulla di illecito a carico
di Lupi ma appare a tutti chiara l’inopportunità di attivare Incalza e Perotti per
un interesse personale, così come appare chiara la circostanza che i nostri
personaggi si muovevano nell’ambito di una cerchia di privilegiati dove è
consentito quello che non è consentito ai comuni mortali, senza che la politica
sappia vigilare. O complici o inetti, i nostri politici non conoscono vie di
mezzo, e sembrano non rendersi conto che l’inettitudine, pur non essendo reato,
è ugualmente colpevole, perché, come testimonia la vicenda di cui ci occupiamo,
l’inadeguatezza di un ministro nuoce al Paese tanto quanto un reato. Detto questo
però, rimane il problema annoso di come Lupi sia finito nel tritacarne. Tutto
nasce dal fatto che, come denuncia Il Foglio, le inchieste vengono portate
avanti senza guardare tanto per il sottile, inzeppate di intercettazioni che
non dovrebbero arrivare al pubblico, che invece vengono fatte filtrare ad arte
e usate per descrivere il contesto, un eufemismo che serve a “sputtanare gli
estranei alle indagini senza pagare pegno”. Il già ministro Lupi è stato così
consegnato al tribunale del popolo che lo ha condannato e messo fuori gioco
nonostante per i magistrati sia innocente. Tanto per cambiare i magistrati
continuano, pur non usando le manette, a trovare il modo di tagliare le teste
dei politici, con buona pace dei proclami di Renzi sulla ritrovata dignità e autonomia
della politica. Alla mercé dei grand commis e dei magistrati d’assalto, gli
uomini che dovrebbero rappresentare l’ interesse generale, rappresentano la
loro inconsistenza.
Nessun commento:
Posta un commento