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venerdì 6 marzo 2015

Il caso Helg


Il caso Helg ha rivelato la vera faccia di una certa antimafia spudorata che ha raccolto il testimone della mafia di un tempo collusa con la politica e in affari con le istituzioni. Quando la mafia stragista decise di fare la guerra allo Stato in nome di una dissennata presunzione di invincibilità, consegnò ai sepolcri imbiancati una formidabile bandiera dietro cui costruire una comoda rendita di posizione. Una antimafia di facciata cominciò a trafficare disinvoltamente alle spalle delle istituzioni e a realizzare, con l’alibi del suo impegno civile, il proprio interesse. Helg è il frutto di una allegra corsa alla verginità sulla quale non si è vigilato come si dovrebbe, e fa una certa impressione vederne le immagini mentre proclama il suo impegno antimafia seduto a fianco di Grasso, all’epoca Procuratore Nazionale Antimafia. Eppure proprio il paradosso Helg, commerciante fallito a capo della Confcommercio e della Camera di Commercio, avrebbe dovuto mettere in guardia.
Il caso Helg è il più eclatante ma a chi ha un minimo di onestà intellettuale non dovrebbe sfuggire il fatto che la bandiera della lotta alla mafia sia una specie di candeggina che monda ogni peccato, una sorta di foglia di fico dietro cui tutto è consentito in una gara a chi sfida di più il buon senso e il buon gusto, legittima l’impunità, viola i diritti fondamentali dell’individuo.
Qualcuno mi spieghi perché la politica siciliana può lasciare morire, senza pagare pegno, un neonato respinto da tutte le strutture ospedaliere, e se è tollerabile che questa impunità possa passare al riparo della bandiera dell’antimafia. E mi spieghi anche come mai floride aziende confiscate alla mafia, fatte poche eccezioni, sono affidate all’allegra gestione di personaggi che le mandano in malora e con esse sperperano l’indotto sociale che ne deriva senza dover rendere conto del loro operato, protetti come sono dalle insegne antimafia. Come si giustificano carriere altrimenti impensabili fatte sulla pelle dei martiri, da  improbabili censori i quali, brandendo la bandiera del loro immacolato impegno antimafia, si coprono di facile gloria combattendo comode crociate contro la solita, vecchia, redditizia mafia, e non puntano invece il dito per tempo contro gli Helg e profittatori vari asserragliati nel fortilizio dell’antimafia, contro imprenditori falliti che utilizzano la loro vicenda di vittime della mafia facendone uno strumento per risollevare le loro sorti imprenditoriali. Proteggerli si, ma perché finanziare la rinascita economica delle loro aziende compromesse dalla loro incapacità con l’aiuto dello Stato, facendo torto ad altri imprenditori che vengono così discriminati, senza che nessuno osi protestare? Perché nessuno ha il coraggio di intestarsi la battaglia contro quel mostro giuridico che è il regime del 41 bis? Forse perché difendendo il diritto, bisogna difendere i mafiosi e questo è intollerabile? Non sa tutto questo di retorica farisaica a buon mercato con cui si costruiscono lucrose verginità  e si distrae l’attenzione da altre realtà scomode che è conveniente tenere nascoste?
La mafia dell’antimafia è tra noi e fra le sue pieghe si annidano tanti altri Helg.

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