Il caso Helg ha rivelato la
vera faccia di una certa antimafia spudorata che ha raccolto il testimone della
mafia di un tempo collusa con la politica e in affari con le istituzioni.
Quando la mafia stragista decise di fare la guerra allo Stato in nome di una dissennata
presunzione di invincibilità, consegnò ai sepolcri imbiancati una formidabile
bandiera dietro cui costruire una comoda rendita di posizione. Una antimafia di
facciata cominciò a trafficare disinvoltamente alle spalle delle istituzioni e
a realizzare, con l’alibi del suo impegno civile, il proprio interesse. Helg è
il frutto di una allegra corsa alla verginità sulla quale non si è vigilato
come si dovrebbe, e fa una certa impressione vederne le immagini mentre
proclama il suo impegno antimafia seduto a fianco di Grasso, all’epoca
Procuratore Nazionale Antimafia. Eppure proprio il paradosso Helg, commerciante
fallito a capo della Confcommercio e della Camera di Commercio, avrebbe dovuto
mettere in guardia.
Il caso Helg è il più
eclatante ma a chi ha un minimo di onestà intellettuale non dovrebbe sfuggire
il fatto che la bandiera della lotta alla mafia sia una specie di candeggina
che monda ogni peccato, una sorta di foglia di fico dietro cui tutto è
consentito in una gara a chi sfida di più il buon senso e il buon gusto,
legittima l’impunità, viola i diritti fondamentali dell’individuo.
Qualcuno mi spieghi perché la
politica siciliana può lasciare morire, senza pagare pegno, un neonato respinto
da tutte le strutture ospedaliere, e se è tollerabile che questa impunità possa
passare al riparo della bandiera dell’antimafia. E mi spieghi anche come mai
floride aziende confiscate alla mafia, fatte poche eccezioni, sono affidate
all’allegra gestione di personaggi che le mandano in malora e con esse sperperano
l’indotto sociale che ne deriva senza dover rendere conto del loro operato, protetti
come sono dalle insegne antimafia. Come si giustificano carriere altrimenti impensabili
fatte sulla pelle dei martiri, da improbabili
censori i quali, brandendo la bandiera del loro immacolato impegno antimafia, si
coprono di facile gloria combattendo comode crociate contro la solita, vecchia,
redditizia mafia, e non puntano invece il dito per tempo contro gli Helg e
profittatori vari asserragliati nel fortilizio dell’antimafia, contro imprenditori
falliti che utilizzano la loro vicenda di vittime della mafia facendone uno
strumento per risollevare le loro sorti imprenditoriali. Proteggerli si, ma
perché finanziare la rinascita economica delle loro aziende compromesse dalla
loro incapacità con l’aiuto dello Stato, facendo torto ad altri imprenditori
che vengono così discriminati, senza che nessuno osi protestare? Perché nessuno
ha il coraggio di intestarsi la battaglia contro quel mostro giuridico che è il
regime del 41 bis? Forse perché difendendo il diritto, bisogna difendere i
mafiosi e questo è intollerabile? Non sa tutto questo di retorica farisaica a
buon mercato con cui si costruiscono lucrose verginità e si distrae l’attenzione da altre realtà
scomode che è conveniente tenere nascoste?
La mafia dell’antimafia è tra
noi e fra le sue pieghe si annidano tanti altri Helg.
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