Bisogna dirlo, Papa Francesco
non finisce mai di stupirci. Non c’è giorno in cui egli non soddisfi le attese
dei cronisti che ormai lo leggono come un uomo di spettacolo dal quale aspettarsi
la battuta di turno. Il fatto però è che il Papa non è un qualsiasi Dieudonné e
se possiamo sorridere con divertita indulgenza per certe sue licenze quando
inventa termini innocenti come “giocattolizzare”, ridiamo di meno quando
afferma, a proposito delle vignette di Charlie Hebdo, che non si può offendere
la religione altrui senza aspettarsi una reazione, perché è come se “il dottor
Gasparri dicesse una parolaccia contro la mia mamma, e in quel caso lo aspetta
un pugno”. In verità il pugno allo stomaco lo prendiamo tutti noi spiazzati da affermazioni
sorprendenti che non provengono dalla vena in libertà di un qualsiasi guitto
ma dall’autorevolezza di una fonte che ha ben altre responsabilità. La legge
del taglione, le donne sottomesse agli uomini sono il denominatore comune della
Bibbia e del Corano, ma i cristiani, grazie alla loro ragione si sono evoluti
dalla intransigenza della Bibbia, al contrario dell’Islam che non si è flessa
agli aggiornamenti della storia. Dire, come ha detto il Papa, che bisogna
rispondere all’offesa portata alla madre con un pugno, sostenere che “ciascuno
di noi ha una sua idea del bene e del male e deve scegliere di seguire il bene
e combattere il male come lui lo concepisce, che, se sceglie il male perché è
sicuro che da esso deriverà del bene, dall’alto dei cieli queste intenzioni e
le loro conseguenze saranno valutate, che noi non possiamo dire di più perché
non sappiamo di più”, significa abbandonarsi all’arbitrarietà della nostra
coscienza e abdicare ai principi certi della nostra fede oltre che alle
conquiste della nostra ragione. Che significa che noi non possiamo dire perché non
sappiamo di più? Dunque non sappiamo che Dio ci ha dotato dei dieci
comandamenti, che l’incitamento a cercare il bene non può risiedere nella
arbitrarietà della nostra coscienza (abbiamo visto quali conseguenze
drammatiche hanno procurato all’umanità certe coscienze sinistramente
teleologiche), ma nella universalità e oggettività della legge naturale e della
legge di Dio, che, secondo gli insegnamenti di Kant, un essere razionale, se
vuole cercare il bene, non può in nessun modo pensare i propri principi
soggettivamente, non può “vendicarsi di ogni offesa che riceve” perché in quel
caso si fermerà solo ad una massima che varrà solo per lui e non attingerà gli imperativi
categorici che ubbidiscono a leggi universali? Come si concilia l’evangelico
“porgi l’altra guancia” con le parole del Papa? Il Papa condanna la violenza
perpetrata a Parigi e però sostiene che ad una offesa è legittimo rispondere
con un pugno? Confesso che sono confuso.
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sabato 17 gennaio 2015
lunedì 12 gennaio 2015
Francesco Foresta
Avrei voluto esserci. Ho motivo di gratitudine nei suoi
confronti perché il giornale da lui
fondato, Live Sicilia, è stato l’unico che, per la penna di Roberto Puglisi,
non si è abbandonato al gioco al massacro nei miei confronti e su di me si è
imposto un laico dubbio. Se un giornalista può andare contro corrente rispetto
al clima di caccia all’untore che imperversa in un certo ambiente appiattito
sulle posizioni della Procura, il merito non è solo del giornalista ma del
giornale che ne ospita la firma senza cesoie censorie. Non dimentico la
temperatura incandescente all’epoca della mia condanna in appello, quando a
tutti faceva comodo sparare alzo zero contro il mostro mafioso fino al punto di
augurarsi, per bocca di qualche irriducibile, che finissi i miei giorni in un
gulag. Puglisi no, Puglisi scrisse: “E’
rischioso scrivere di Nino Mandalà. Si sfiorano i limiti della coscienza e del
baccano. C’è il pericolo della topica… Non si dovrebbe mai abbandonare il
dubbio, nemmeno sull’innocenza a margine di una colpevolezza confermata in
appello….Vale la pena di ricamare un pensiero sui pensieri senza che si sappia
se provengono da un demonio o da una persona? Forse si. Ma è un rischio grave
con l’abisso a un centimetro.” Ricordo
l’emozione alla lettura di quell’articolo e il sollievo generato da quell’unica
isola di titubanza in un mare di certezze omologate. Potevo essere “un diavolo
o una persona” ma qualcuno si faceva venire il dubbio andando oltre le
apparenze e tentando letture che avevano a che fare con la coscienza del
giornalista onesto. La sentenza di condanna definitiva si è successivamente
incaricata di dichiararmi un “diavolo” ma resta il valore di una analisi onesta
che nessuna sentenza può annullare. Da quel momento non ho più smesso di
leggere Live Sicilia, non c’è mattina che, come prima cosa, non dia una
occhiata alla sua testata, affascinato dalla sua mancanza di timore nei
confronti dei potenti, divertito dalla birichina impertinenza contro chi conta
e te la può fare pagare, irretito dallo spessore delle firme che non hanno
avuto bisogno di emigrare perché qui hanno trovato le condizioni per esercitare
degnamente il loro mestiere e hanno arricchito la nostra società, incantato
dalla leggerezza e puntualità dell’informazione. Ho maturato un senso di
ammirazione e di gratitudine per chi ha reso possibile tutto questo, e di pena
e rabbia per una scomparsa proditoria che
impoverisce tutti, mi è balenato il desiderio di partecipare ai suoi funerali,
ma ho ricacciato indietro il mio desiderio, un “demonio” non ha diritto a certe
confidenze.
sabato 10 gennaio 2015
Il Papa e l’Islam
Ci sono due avvenimenti che in questi giorni appassionano l’opinione pubblica, la polemica scoppiata a proposito della svolta impressa alla Chiesa da Papa Francesco che ha visto contrapposti Vittorio Messori e Leonardo Boff, e gli attentati di Parigi. Per quanto riguarda il primo argomento, sorvoliamo sui toni liquidatori di Boff che pretende di avere il monopolio della verità e della infallibilità e non tollera posizioni diverse dalle sue, bollate addirittura come “grossi vuoti di pensiero”. Beato lui che, per dirla con monsignor Livi, ha il dono di confondere le sue congetture con la verità divina. Se invece vogliamo occuparci di cose serie, bisogna dire che i rilievi mossi in tono pacato e rispettoso da Messori, innamorato nonostante tutto del suo Papa, all’operato di Francesco, non sono del tutto peregrini. Io che sono meno innamorato di Messori, mi permetto di osare di più e dico che il Papa dovrebbe essere un po’ meno incline a forme di “rottamazione” care ai comuni mortali. Egli contiene in sé il mistero di un miracolo consegnatoci duemila anni fa e conservato grazie ai fasti della Chiesa e non dovrebbe, a mio avviso, desacralizzare il suo ruolo offrendosi agli umori della gente, prestandosi alla promozione di istanze sociali e assecondando gli impulsi di un terzomondismo venato di pregiudizio ideologico e dogmatico. La Chiesa ha tanto da farsi perdonare e il Papa fa bene a tentare di ricondurla alla umiltà delle sue origini, all’amore per i poveri e all’attenzione per i più deboli, senza però confinare il suo magistero unicamente entro le anguste frontiere dell’eticamente e socialmente corretto e ricordando sempre che Egli è sapienza di Dio, sospeso tra misericordia ed estasi, trascendente e sottile come la lama dello spirito e non può confondersi con il livore di un Boff, la cui invocazione dello spirito santo ha tutta l’aria di una chiamata alle armi per la riproposizione di una utopia velleitaria che ha fatto il suo tempo e tanti guasti. E invece con la sua indulgenza verso certi miti, Francesco da l’impressione di nutrire una sorta di risentimento per la sua Chiesa, per quello che essa è stata in alcuni periodi oscuri della sua storia, e di volerla punire, dimenticando che, proprio grazie a questa storia pur contraddittoria, il Papa può parlare in nome di Cristo e, in nome di Cristo e non della Teologia della liberazione, esercitare il proprio magistero.
E giusto per agganciarci alle
imprese di cui si sta rendendo protagonista in questi giorni un certo Islam, nel
suo magistero ci dovrebbe essere pure una difesa più convinta dei suoi figli
perseguitati, la rabbia del padre che rovescia il tavolo e brandisce la sua ira
contro quanti massacrano i cristiani in medio oriente e in Africa, invece di tendere
la mano ai carnefici in uno slancio ecumenico che può essere frainteso. In
Europa, una Chiesa cattolica poco risoluta, la cultura giudaica-cristiana che
ha permeato la società occidentale, le coscienze laiche eredi della civiltà
greco-romana e dei lumi, hanno rinunciato alla loro identità consegnandosi a
identità ben più forti e determinate. Le fosche profezie Houellebecq non sono
così farneticanti e gli spari di Parigi ne sono una sinistra conferma. Quando insorgiamo contro la barbarie che ci sta investendo
non vogliamo sentirci bacchettare da chi grida all’intolleranza. Così come
critichiamo le declinazioni della nostra fede che non ci convincono, abbiamo il
diritto di criticare un modello religioso e culturale incompatibile con il
nostro, dove, e parliamo dell’Islam moderato, la donna non ha gli stessi
diritti dell’uomo, non c’è libertà di culto, non c’è libertà di stampa, il
fondamentalismo religioso si è impadronito dello Stato. È una differenza di
cultura che ci riguarda quando incrocia le nostre contrade, insidia la nostra
cultura e fa da incubatrice all’intransigenza di giovani cresciuti tra noi ma
col cuore sintonizzato sui feticci delle loro origini, annidati tra le nostre famiglie e pronti a colpire.
Allora abbiamo il diritto di insorgere e la nostra ribellione non può essere
scambiata per islamofobia. Il nostro non è un incitamento all’odio ma una
richiesta d’aiuto a capire se ci possiamo fidare di Ismail che condivide la
nostra tavola, che è inserito a pieno titolo nelle pieghe della nostra società,
che appare così mite. È una richiesta che indirizziamo a quanti non ci
concedono il diritto alla paura e a gridare il nostro allarme. Ed è una
richiesta che rivolgiamo allo stesso Ismail, il solo in grado di convincerci
che non abbiamo nulla da temere da lui. Certo se Ismail, intervistato, dice che
quelli di Charlie Hebdo se la sono
cercata, c’è da stare poco allegri.
giovedì 1 gennaio 2015
Buon Capodanno?
C'è un motivo per brindare con riconoscenza all'anno che sta per finire? O per salutare con speranza l'anno che sta per entrare? Vediamo. Anche questo 2014 che sta per concludersi ha confermato i vizi e le virtù di noi italiani, la nostra capacità di essere degni e indegni al contempo, a seconda se dobbiamo gestire la quotidianità col suo carico di virtù civiche e di adempimenti che garantiscano una convivenza priva di amare sorprese o se dobbiamo gestire l'emergenza determinata dalla nostra insipienza. La tragedia della Norman Atlantic è la metafora del nostro carattere. Essa ci consegna lo spaccato della negligenza e dell'approssimazione con cui la nave è stata prima autorizzata dal RINA a navigare non avendo probabilmente le carte in regola per farlo, e poi guidata per mare imbarcando clandestini e un carico che non poteva sopportare e, a incendio scoppiato, lasciata in balia degli eventi dal cattivo funzionamento delle paratie tagliafuoco, delle pompe antincendio e delle lance di salvataggio e da un equipaggio non all'altezza. Ma ci consegna anche l'esempio del carattere solidale, coraggioso, fatto di abnegazione e di eroismi che ci contraddistingue e ci riscatta in presenza di emergenze drammatiche. Le testimonianze dell'eroismo dei nostri marinai e dei nostri elicotteristi non si contano e mitigano la delusione per la nostra sciatteria, anche se non sono riuscite a porre rimedio alla perdita di vite umane che potevano essere salvate. In tutta franchezza preferiremmo essere meno eroici e più efficienti, preferiremmo che sentissimo di più la responsabilita' del dovere quotidiano, oscuro, anonimo e noioso ma a suo modo eroico perché, pur con la sua mancanza di visibilità, garantisce a tutti condizioni di vita al riparo da sorprese che necessitano di eroismi. Mi viene in mente, chissà perché, il caso del detenuto Minaudo autorizzato ad accorrere al capezzale della madre morente......a tumulazione avvenuta da un magistrato di sorveglianza impegnato a festeggiare il Natale, o quello dell'ex presidente della regione Sicilia, Cuffaro, al quale è stato negato di vedere la madre anche essa in condizioni terminali perché, secondo la motivazione del magistrato di sorveglianza,......la signora non era in grado di riconoscere il figlio. Probabilmente questi due episodi mi vengono in mente perché sono paradigmatici della nostra diffusa incapacità di gestire il buon senso con buona pace dell'eroismo dei pochi impegnati nell'impari lotta contro i mulini a vento. Come si vede abbiamo pochi motivi per rallegrarci dell'anno che ci lasciamo alle spalle, specie considerando tutto il resto che ci affligge e che in questa sede abbiamo più volte denunciato senza bisogno di stucchevoli ripetizioni. Possiamo solo sperare che il nuovo anno ci affranchi dai tanti nostri vizi confermando e anzi incrementando le nostre virtù. Con questo augurio salutiamo il 2015 che verrà.
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