La sentenza Berlusconi
Berlusconi è responsabile nei confronti di tutti noi per la
deriva intransigente che la magistratura si è potuta permettere grazie
all’alibi di dover perseguire le sue condotte disinvolte. Se Berlusconi non
fosse stato così attaccabile, la magistratura non avrebbe potuto imperversare
come ha fatto.
E’ vero che in un’aula di tribunale non si può punire il
peccato ma questo dettaglio è trascurabile in un Paese in cui imperversano
furori moralistici e si issano patiboli se appena un povero cristo è sfiorato
da un’indagine. Diciamola tutta, il timore agitato a proposito di presunti
attentati all’autonomia della magistratura è una impostura che serve a
giustificare fughe in avanti di un corpo graniticamente consortile che si può
permettere in tutta tranquillità sentenze come quella emessa contro Berlusconi.
Altro che rischio di attentato all’autonomia della magistratura, qui il vero
rischio lo corrono le garanzie fondamentali dei cittadini che la legge aggirata
non riesce a tutelare.
Una sentenza può essere valutata pienamente solo leggendo le
motivazioni ma la sentenza Berlusconi già da subito può essere valutata
considerando alcune sue singolarità che suscitano perplessità.
Che significa infatti che il reato di concussione per
induzione si è trasformato in quello di concussione per costrizione ex abrupto,
in sentenza, senza che in dibattimento ne sia stata cambiata la natura in modo
da consentire alla difesa di opporre le proprie ragioni? Si è condannato
negando il diritto di difesa!
Che senso ha emettere una sentenza di condanna fidandosi
della testimonianza di una minoranza di testi dell’accusa e non della
maggioranza dei testi della difesa e per questi inviare le carte alla Procura
chiedendo che vengano incriminati per falsa testimonianza? Dove è la garanzia
delle pari opportunità tra difesa e accusa se i testi della difesa vengono in
blocco spazzati via dal sospetto privo di riscontri della Corte ? O non è
invece legittimo il sospetto che la
Corte speri nell’assist della Procura per ottenere a
posteriori un supporto alle motivazioni della sentenza e punire i testi della
difesa? L’iniziativa della Corte ha l’aria di un messaggio che serve ad
educare. Quanti altri testimoni infatti in altri processi saranno disposti a
testimoniare contro le tesi della pubblica accusa, sapendo che così rischiano
l’incriminazione?
Che senso ha emettere una sentenza di condanna per un reato
in cui non c’è la vittima? Ruby rubacuori, a parte le dichiarazioni
contraddittorie rilasciate alla stampa durante le indagini preliminari, alla
fine ha affermato che non ha mai avuto rapporti sessuali con Berlusconi, di
avere mentito sulla sua età dichiarando di avere 23 anni e di non essere stata
sottoposta ad alcuna pressione per edulcorare le sue dichiarazioni. Come mai la
pubblica accusa non ha chiamato sul banco dei testi la vittima del presunto
reato e la Boccassini
ha sostenuto, a proposito della minore età di Ruby, che Berlusconi non poteva
non sapere? Un magistrato del valore della Boccassini che si arrampica sugli
specchi di una formulazione che col diritto non ha nulla da spartire!
Perché accendere i fari sull’affidamento di Ruby e su di
esso costruire una sentenza di condanna mentre invece decine di altri
affidamenti sbrigati con le stesse modalità non hanno suscitato pari attenzione
e provocato analoghe sentenze? Le
disposizioni del P.M. dei minori sono state disattese dai funzionari della
Questura? Ma quante disposizioni del magistrato di sorveglianza in materia di
diritti dei detenuti sono disattese dalla polizia penitenziaria senza che
questo provochi sentenze di condanna, tanto che è dovuta intervenire la Consulta per porre
rimedio a queste inadempienze?
Della sorte di Berlusconi potrebbe anche non interessarci
niente, alla fine se l’è cercata con certe sue cadute di stile e con la
mancanza del decoro necessario ad un governante che vuole intestarsi riforme
“epocali”, il fatto è che la sua caduta travolge anche noi comuni mortali alla
mercé di una magistratura che, dopo vent’anni di conflitto, con la sconfitta
della politica, non conosce limiti al suo potere.