A proposito di cultura
Definire il significato di cultura
è impresa ardua. Forse è più facile dire che cosa non è cultura.
Non è cultura l’arroganza dei
manichei che non conoscono sfumature e non nutrono dubbi, stabiliscono
nettamente e vaticinano demonizzando chi dissente
da loro. La nostra cultura è stata monopolizzata da tempo da una élite che, in
ragione di una pretesa superiorità intellettuale, emargina chi non si fa
omologare e colonizza le menti condannandole al pensiero unico.
Non è neanche cultura di contro la
dittatura della moltitudine vociante afflitta da vuoto pneumatico che, in odio
al regime della suddetta élite ma anche in spregio a tutto ciò che con la
cultura ha qualche attinenza ed è guardato con sospetto come un inutile
orpello, banalizza le nostre aspirazioni mettendo all’indice il diritto di una
società a volare per i cieli di una dimensione superiore sotto la guida di
maestri sapienti, sotto l’influsso della bellezza e dell’arte che ci rimandano
a sensazioni nobili, e strepita all’insegna dell’ovvio. Basta navigare in rete
per imbattersi nel qualunquismo dei soliti noti in servizio permanente
effettivo che hanno portato il cervello all’ammasso e che, al riparo di
pseudonimi improbabili, dilagano pretendendo di imporci la loro insulsaggine.
Non è cultura la pretesa di
rivendicare il monopolio della moralità e nel suo nome consumare arbitri che
con la morale non hanno alcuna parentela. La storia è ricca di episodi di
giacobinismo che hanno prodotto altrettanti casi di eterogenesi dei fini grazie
all’intolleranza di sanculotti privi di una rivoluzione da compiere ma non del
livore con cui rumoreggiano ai piedi del patibolo di turno invocando giustizia
sommaria. Nel primo libro della Repubblica Platone fa dialogare Socrate e
Trasimaco e fa dire a quest’ultimo che la giustizia è l’interesse del più
forte. È l’esemplificazione della morale dei nostri Robespierre.
Non è cultura la disonestà
intellettuale dei politici che ci ammanniscono le loro convenienze gabellandole
per progetti di bene comune che alla fine si traducono in disastro comune,
fatti salvi i soliti privilegi. Non è cultura la loro voracità e la loro
improntitudine, semmai è cinismo che si staglia tra i sinistri bagliori della
disperazione che hanno creato.
Non è cultura l’ipocrisia di chi
non si arrende alla disuguaglianza dataci dalla natura e pretende di imporci
l’uguaglianza dall’alto, ignorando che è veramente uguale chi è libero di
forgiare la propria identità. E’ così che la nostra società si indirizza sempre
più verso la massificazione dell’individuo che scoraggia l’iniziativa e
condanna all’incapacità di produrre ricchezza.
Non è cultura la piaggeria della
stampa che ha dimenticato la lezione di Terzani di ringhiare ai polpacci dei
potenti e si fa complice di essi.
Non è cultura l’insensibilità con
cui trascuriamo i ceti deboli tradendo il patto con i nostri concittadini e
relegandoli nella indigenza di condizioni economiche da terzo mondo o
nell’inferno di condizioni morali da suicidio. I nostri anziani e i nostri
carcerati sono lì a testimoniarlo.
E’ ignoranza crassa e diffusa
quella di un popolo che ha perduto la memoria delle proprie origini e si è
arenato nelle secche di un provincialismo che lo confina ai margini del sapere
e della dignità delle condotte, che non conosce Dante, la Costituzione , la
propria lingua, anzi non conosce le lingue e si rifugia in inglesismi che usa a
sproposito, che non sa onorare le testimonianze della sua storia, che devasta
le bellezze di una splendida nazione. Questo popolo ha dato la misura di se e
della propria inadeguatezza per una parte delegando alla guida del Paese uomini
i quali, in una fase storica delicata che esigeva uno scatto di reni, non hanno
saputo fare altro che disunirsi nella elezione del Capo dello Stato, e per la
restante parte sostituendo la politica con la farsa e individuando il suo
leader in un comico il quale pretende di cambiare la nostra democrazia
rappresentativa in democrazia diretta condizionata da una opinione pubblica
minoritaria e organizzata, a digiuno di politica e di cultura che, in una sorta
di legge del contrappasso, detta la via alle élite. In questo marasma la
politica non ha saputo fare di meglio che chiedere di essere soccorsa da un
uomo di 87 anni, rimasto l’unica risorsa spendibile.
La non cultura ci consegna il
panorama di un Paese che non può perché, a causa della mancanza di strumenti
culturali, non ha la capacità di fare o, se può, non vuole perché il suo limite
morale gli impedisce di fare.
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