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martedì 26 marzo 2013

Dell’impresentabilità


Stamattina il mio amico Arnaldo col quale sono solito fare la mia passeggiata quotidiana, mi ha accolto con una espressione grave che lasciava trasparire una profonda irritazione. Saltati a piè pari i saluti, si è abbandonato ad una vera e propria filippica mulinando le mani contro immaginari interlocutori. Arnaldo è un tipo cheto e pacato, tocca a lui il più delle volte tenere a freno il mio carattere sanguigno durante le discussioni che ci vedono impegnati nel commento degli avvenimenti del giorno. Abbiamo entrambi un’età che scoraggia passioni, ne abbiamo viste tante e non ci stupiamo più di nulla. Stamattina invece Arnaldo ha abbandonato il suo solito aplomb per sostituirlo con una cascata di improperi. Urlava che è una vergogna dovere assistere alla violenza perpetrata da pochi unti dal Signore che credono di essere i soli depositari della verità e si arrogano il diritto di disprezzare l’opinione degli altri. Non riuscivo a capire e mentre lui continuava nella sua tirata, mi veniva in mente Don Ciccio Tumeo che, sfogando la sua rabbia col Principe di Salina, imprecava: “….quei porci s’inghiottono la mia opinione, la masticano e poi la cacano trasformata come vogliono loro. Io ho detto nero e loro mi fanno dire bianco….”.
Tentavo di calmare il mio amico mentre, come un fiume in piena, egli proseguiva: “ Io non ho votato per Berlusconi, ha tradito le mie attese e non gliela perdono, dunque la mia non è una difesa d’ufficio. Ma ci sono tanti miei amici che hanno votato per lui assieme a 9.000.000. di elettori e non sopporto che quattro arroganti sfigati che pretendono di avere il monopolio della moralità e che sono gli ultimi epigoni di una stagione fallita, che hanno sempre maramaldeggiato con la reputazione della gente, se ne fottano dell’opinione di un terzo degli italiani reclamando l’ineleggibilità dell’uomo da essi votato ripetutamente da vent’anni a questa parte. Che cosa sono degli imbecilli questi italiani, mentre quattro gatti che non riescono a mandare un loro uomo in Parlamento hanno l’arroganza di dettare legge?  Detesto questi moralisti da strapazzo che mi costringono a difendere la mia libertà attraverso un uomo che non amo”.
Il buon Arnaldo probabilmente senza saperlo scomodava addirittura Voltaire ed io  capivo finalmente che egli ce l’aveva con la manifestazione organizzata da MicroMega e dal suo vate Flores d’Arcais con cui, tanto per cambiare, è stata rimarcata l’assolutezza del male rappresentato da Berlusconi e se ne è chiesta la rimozione attraverso la scorciatoia della legge e, nel caso specifico, di una legge poco chiara e dalla applicabilità controversa. Ma tant’è, legge o non legge, il salotto buono dell’Italia del bon ton e di una minoranza ossessionata dal mito della propria superiorità morale e intellettuale che pretende di esercitare il suo potere di interdizione, mosca nocchiera di una borghesia prona e dal perbenismo di facciata, non può tollerare che un’altra Italia vista come rozza e impresentabile vi si contrapponga e ne ha negato da tempo il diritto di esistere ed avere un suo ruolo. Convertita questa Italia e sparito Berlusconi, i guai dell’Italia, come d’incanto, si dissolverebbero, specie se la guida del Paese venisse affidata agli uomini d’oro di platoniana memoria. Riuscii finalmente a calmare il mio amico e gli spiegai che non c’era niente di nuovo sotto il sole, che nell’iperuranio dell’intellighentia italica svettano le menti degli allievi di qualcuno che prima di loro si è  inventata l’etica, il ginevrino J. J. Rousseau che parlò di volontà generale, ovvero di interesse collettivo, cui è doveroso ubbidire: “Chiunque rifiuterà di obbedire alla volontà generale vi sarà costretto da tutto il corpo, il che non significa altro che lo si forzerà ad essere libero.” Strana contraddizione in termini la costrizione alla libertà e peccato che la volontà generale non coincida con la volontà di tutti ma solo con quella dei magistrati vagheggiati da Rousseau i quali, nel nostro caso, hanno stabilito che 9.000.000. di elettori non contino in confronto alla raffinatezza delle loro menti, le sole autorizzate a pensare per conto di tutti e decidere quale è l’interesse collettivo.  

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