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lunedì 14 gennaio 2013

Il giornalismo in Italia


Il giornalismo in Italia, fatte poche eccezioni, soffre di nanismo nei confronti delle testate di respiro europeo. Provinciale e bacchettone, si presta all’adulazione nei confronti del potente di turno o si lascia guidare da incrostazioni ideologiche che assoggettano la verità a teoremi precostituiti e guardano alle vicende del mondo e di casa nostra con strabica incoerenza. Un simile giornalismo non si ispira all’unico ideale dal quale dovrebbe essere spinto, e cioè a quello di vigilare affinché a chi legge giunga una informazione onesta, di ringhiare ai polpacci dei potenti, di servire il solo padrone che Montanelli riconosceva, il lettore, serve semmai le proprie convenienze e, invece di constatare e narrare la realtà, la partorisce ad libitum offrendola contraffatta in pasto allo sprovveduto lettore. La notizia in questo modo diventa strumento di parte piuttosto che del lettore, suggestiva e suggerita dall’interesse per lo scoop e per il messaggio che si vuole far giungere, fedele ai luoghi comuni di maniera che fanno tendenza, è macelleria protesa alla vendita di più copie e alla difesa di rendite di posizioni, cinica fino a pregiudicare vite e reputazioni, fino a ingannare i lettori.
E’ così che veniamo bombardati da notizie drogate su che cosa è giusto e cosa non lo è, su che cosa è vero e cosa non lo è, in materia di diritti umani, di giustizia, di scelte politiche, di scelte etiche, di tragedie sparse per il mondo. Si danno letture diverse delle sacche di ingiustizia morale, economica, sociale, di discriminazioni razziali e religiose, a seconda che rispondano o meno alle ideologie di parte o agli appetiti del mercato mediatico.
Si enfatizza, come è giusto, il dramma del popolo palestinese ma non se ne analizzano onestamente le cause e le origini, ricorrendo ad una comoda demonizzazione di Israele.
Si levano voci indignate contro l’imperialismo degli Stati Uniti, su una certa loro disinvoltura nel trattamento dei diritti umani a Guantanamo e nelle varie arie geografiche, Vietnam, Afganistan, Iraq, in cui sono stati e sono impegnati, ma si glissa sulla sorte dei dissidenti a Cuba o in Cina o in Iran.
Ci si sbizzarrisce sugli epiteti da riservare ai nostri governanti che, per carità, sono la causa prima del nostro malessere e meritano tutto la nostra disapprovazione, ma non si è capaci di allargare l’orizzonte denunciando la disinvoltura delle nostre banche che utilizzano gli euro ottenuti a tassi di realizzo dalla BCE per speculare investendo in BOT e CCT invece che per far credito alle imprese e alle famiglie o analizzando il fenomeno di certa finanza internazionale che mette in crisi popoli interi. Ormai l’impresa più redditizia non è quella industriale con i suoi rischi e le sue finalità sociali, è la finanza spietata che gira solo attorno al proprio ombelico. Si parla tanto di poteri forti ma nessuno che faccia nomi e cognomi e ci dica cosa è veramente questa specie di Spectre. Nessuno che smascheri l’ipocrisia dell’approccio moralistico di alcuni Paesi cosiddetti virtuosi, preoccupati di difendere la propria integrità dal pericolo del contagio, che oggi pretendono di imporre a popoli già stremati ricette di dimagrimento senza la prescrizione delle vitamine per la crescita, laddove ieri incoraggiavano gli stessi popoli allo sperpero per saziare gli appetiti delle loro economie.
Ci si strappa le vesti sui rischi del populismo tutto italiano di destra e di sinistra che si affida a messaggi improbabili e dunque facile da disinnescare, ma si tace sul vero rischio che nasce dal fiume carsico di una potente burocrazia che trama dispotica invischiando la macchina dello Stato e condizionandola fino al punto da impedire il regolare funzionamento di essa e il varo delle riforme necessarie. Ci si sciacqua la bocca con la sacralità della separazione dei poteri, ma nessun grido di protesta si leva quando un potere travalica con invasioni di campo e mette a rischio la democrazia e le garanzie dei singoli. Non ci si scandalizza per l’uso improprio di carriere destinate a svolgere delicate funzioni dello Stato e impiegate invece per approdare a più comode e fruttuose carriere politiche, grazie alla visibilità conquistata sul campo.
Si da addosso ai poveri diavoli ma si risparmiano i santuari. Alcuni giornalisti, con piena consapevolezza di quale sia la scelta di campo più conveniente, non hanno dubbi sulle colpe degli imputati declinate come certe nei sancta sanctorum delle procure e le propalano come definitive senza tanti riguardi per la presunzione di innocenza, senza tanti complimenti e soprattutto senza tanti sciocchi scrupoli nel compiacere la fonte della notizia e verificarne la fondatezza.
E ci sono poi le cause più degne e quelle meno degne. Non vengono considerate degne per esempio le cause che riguardano le condizioni di vita dei detenuti e si da notizia nel sottoscala di un minuscolo trafiletto di una pagina interna, del suicidio del disgraziato di turno in uno dei nostri grand’hotels carcerari. Non ci si intesta la battaglia per una riforma onesta della giustizia che sottragga l’imputato, anche se titolare della più infamante delle accuse, all’arbitrio di un sistema giudiziario che ha fatto strame del diritto. Al contrario è facile dimenticare la sorte dei cittadini titolari di imputazioni di un certo tipo contro cui tutto è lecito, contro i quali vale la vendetta piuttosto che la garanzia del diritto. Si lasciano soli ad abbaiare alla luna personaggi folli e straordinari come Pannella.
Ci si intesta invece il giacobinismo di una opinione pubblica avvilita e confusa, disposta a farsi ingannare, e lo si incoraggia con articoli che lisciano il pelo del qualunquismo e alimentano la sete di giustizialismo. Basta andare in rete per imbattersi in un campionario infinito di ovvietà frutto della normalizzazione che l’informazione ha fatto del nostro cervello. Personaggi anonimi e squallidi spacciano per originali convincimenti che sono stati subdolamente inculcati dal bombardamento di verità addomesticate, e nelle televisioni assistiamo a osceni giochi delle parti contrabbandati per dibattiti in cui tutto è assicurato tranne la decenza.
Si strilla di uguaglianza ma i balconi dei protestatari d’assalto confinano con quelli del potere e persino gli uomini deputati alla carità si siedono sugli scranni della loro alta appartenenza lontana dai poveri di spirito, senza che da quella stampa che dovrebbe attivare un controllo severo nei confronti dei potenti, si levi un grido di denuncia.
Tiziano Terzani, a proposito di che cosa deve essere il giornalismo ha scritto: “Ho fatto questo mio mestiere proprio come una missione religiosa, se vuoi, non cedendo a trappole facili. La più facile, te ne volevo parlare da tempo, è il Potere. Perché il potere corrompe, il potere ti fagocita, il potere ti tira dentro di sé! Capisci? Se ti metti accanto a un candidato alla presidenza in una campagna elettorale, se vai a cena con lui diventi un suo scagnozzo, no?.......Il mio istinto è stato sempre di starne lontano……Lo puoi chiamare anche una forma di moralità. Ho sempre avuto questo senso di orgoglio che io al potere ci stavo di faccia, lo guardavo, e lo mandavo a fanculo. Aprivo la porta, ci mettevo il piede, entravo dentro, ma quando ero nella sua stanza, invece di compiacerlo controllavo che cosa non andava, facevo le domande. Questo è giornalismo.” Luigi Einaudi a sua volta paragonava il giornalismo al sacerdozio.
Quelli erano i tempi di Terzani e di Einaudi, i tempi di oggi vedono i giornalisti massicciamente presenti nelle liste dei candidati alle prossime elezioni politiche e registrano il tracollo dell’innocenza di quanti credono alle favole.




1 commento:

  1. Forse ci buttiamo troppo giù .
    Anche fuori hanno i loro problemi : il giornalismo di al jazeera, fox news e press tv, poi non è tutta questa gran cosa .
    Magari rispetto a noi, hanno più etica .
    Quando Zakaria è stato beccato a copiare, ha pagato quello che gli si imponeva .
    Da noi gli scopiazzatori di professione, che si sono fatti il nome grazie ai racconti su mafia e camorra, se la cavano con delle correzioni con il senno di poi .
    Le battaglie sulla giustizia vanno anche fatte in maniera seria, non a colpi di presunti digiuni, non con le minacce . E chi le fa in quella maniera, a volte non ha la credibilità politica per attrarre l'attenzione .
    Forse è il giornalismo che ci meritiamo, servile, ruffiano, egocentrico, perchè attualmente siamo così .

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