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venerdì 7 dicembre 2012

La morte in diretta


Ki-Sunck Han, il coreano aggrappato al marciapiedi della stazione nella metropolitana di New York in attesa di essere travolto e ucciso dal treno in arrivo sotto lo sguardo di un fotoreporter intento a riprendere la scena, evoca lo scatto di Kevin Carter che fissa l’immagine di una donna sudanese allo stremo delle forze e sul punto di morire di fame e di stenti, osservata a distanza da un avvoltoio.
L’orrore consiste non tanto o non solamente nella scena della morte in diretta, quanto nella indifferenza della folla che assiste passiva senza intervenire e si assiepa a tragedia avvenuta attorno al corpo martoriato con morbosa curiosità riprendendo la scena con i telefonini, e nel cinismo del reporter che, tra scegliere di impiegare il tempo disponibile per tentare di salvare un suo simile o impiegarlo per scattare 59 fotogrammi che gli avrebbero consegnato un macabro scoop, non ha avuto esitazioni, ha privilegiato lo scoop. E’ l’orrore di una umanità perduta che respinge gli impulsi dei neuroni specchio e abdica alla propria natura barattandola con le oscene esigenze di un mercato privo di scrupoli e di ancoraggi morali.
Bene ha fotografato questa nuova frontiera disumana David Carr sul New York Times parlando di “eunuchi morali che non intervengono quando il pericolo o il male si materializzano davanti a loro e segretamente tifano perché il peggio accada”. La cronaca quotidiana purtroppo dissemina il proprio cammino di episodi di cannibalismo che pur non producendo gli effetti sconvolgenti di una morte in diretta, tuttavia falcidiano ugualmente vite umane in nome di malintesi miti da celebrare. Avviene con il diritto di cronaca che sacrifica ab origine l’onorabilità degli indagati facendo della macelleria mediatica senza preoccuparsi più di tanto della obbiettività della informazione se in ballo c’è l’occasione di cavalcare il giacobinismo della gente e lucrare su notizie commercialmente redditizie.
Meno spietati del reporter del New York Post ma altrettanto efficaci nel causare vittime, i talebani dell’informazione, poietici reificanti di verità contraffatte, proliferano lasciando ogni giorno sul terreno vite irrimediabilmente segnate e reputazioni sfregiate.

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