Commistioni
Quale è la differenza fra la commistione della mafia e
quella dell’antimafia con la politica? Nessuna, dico io. Entrambe infatti
condizionano impropriamente la politica. Mi si può obiettare che i valori di
riferimento sono diversi, ed è vero, ma è pure vero che i magistrati che si
candidano negli stessi collegi in cui hanno condotto indagini giudiziarie, non
possono sottrarsi al sospetto che abbiano, in
omaggio alle convinzioni che nutrivano già allora, favorito quelli che
sarebbero diventati loro alleati di partito e danneggiato quelli che sarebbero
diventati loro avversari politici. Al posto dell’on. Dell’Utri mi farei qualche
pensiero leggendo e ascoltando le dichiarazioni di disprezzo profferite dal dr.
Ingroia nei confronti di Berlusconi e del PDL, che non sono certamente frutto
di improvvisa folgorazione e che la dicono tutta sullo stato d’animo del
magistrato sul conto del politico all’epoca delle indagini. Il dr. Grasso,
ancora oggi Procuratore nazionale antimafia e già in predicato di candidarsi
nel listino di Bersani per una comoda elezione in Parlamento, come può
scacciare il sospetto che la sua delicata funzione, in un contesto in cui la
politica è stata spesso al centro di indagini, non sia stata condizionata dalle
sue convinzioni politiche che, sia chiaro, anche un magistrato ha il diritto di
coltivare ma non fino al punto da farne oggetto di passione partitica che lo
sottrae alla condizione di imparzialità? Per non parlare poi della fastidiosa
sensazione di essere raggirati che il cittadino prova allorché un magistrato
che gode di giuste prerogative che difendano la sua indipendenza ma è al
contempo obbligato ad un comportamento sacerdotale, d’improvviso, come se nulla
fosse, ribalta le regole del gioco e utilizza il patrimonio di prestigio
accumulato grazie alle prerogative concessigli e alla notorietà conquistata con
le inchieste, trasferendolo su un partito e investendolo in una carriera
politica alla quale non era stato delegato e che altri hanno dovuto sudarsi con
percorsi molto più accidentati. Diciamolo, è scorretto e ingiusto!
Quando si parla di politicizzazione della magistratura e di
via giudiziaria della democrazia in cui le categorie prese in considerazione
non sono di natura politica ma moraleggiante e il gioco è condotto con
strumenti ad altri preclusi, non ci si può inalberare affermando che c’è il
tentativo di delegittimare chi, scendendo o, se si preferisce, salendo in
politica, ha dismesso i panni del magistrato, né si può contestare il
sacrosanto diritto di critica di chi teme una deriva giacobina. Il pericolo
semmai è altrove. Se infatti esaminiamo l’elenco dei magistrati che si sono o
si stanno convertendo alla politica, constatiamo che la maggior parte di essi milita
a sinistra. La purezza degli ideali probabilmente alberga più a sinistra che a
destra ma serpeggia ugualmente il dubbio che da qualche parte la bilancia sia
tenuta da Torquemada piuttosto che da Temi e che il futuro dell’Italia non
prometta di essere fra i più rassicuranti.