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mercoledì 8 agosto 2012

La ragion di Stato


Nella sua rubrica settimanale “Il dubbio” sul Corriere della Sera di sabato 4 agosto, Piero Ostellino ha commentato l’intervista a Repubblica con cui il dr. Ingroia ha lamentato il tentativo d’ingerenza della politica nell’attività della magistratura.
Piero Ostellino ha gratificato Ingroia di un duro giudizio accusandolo di essere “afflitto da una imbarazzante carenza scolastica” e ha rincarato la dose sostenendo che la sua reazione è “frutto di una inadeguatezza culturale e di una inclinazione a contrapporre Giustizia e Politica”.
Tutto perché Ingroia ha reclamato una maggiore chiarezza da parte della politica che dovrebbe dire a chiare lettere se c’è una ragion di Stato che impedisce l’azione della magistratura e l’accertamento della verità a proposito della trattativa Stato mafia.
Ostellino sostiene che la ragion di Stato non è “codificabile, bensì immanente alla Politica, è un suo modo d’essere”, ha, appunto, una sua ragione che si giustifica perché“vuole evitare che uomini pubblici che si siano (eventualmente) sporcate le mani nel servire lo Stato siano chiamati a risponderne all’opinione pubblica o ai tribunali secondo la morale e la legge che regolano i comportamenti del cittadino comune”. Essa è legibus soluta e per questo motivo non può essere dichiarata o preventivamente comunicata alla magistratura alla quale non ha l’obbligo di rispondere, e che peraltro non potrebbe accettarne la logica, essa  risponde esclusivamente alle esigenze della Politica che a sua volta risponde solo alla propria coscienza. E’ inutile strapparsi i capelli e gridare allo scandalo, bisogna prendere atto che, per quanto ciò possa urticare il nostro senso morale, dalla ragion di Stato qualche volta non si può prescindere, bene inteso sempre che il background istituzionale sia solido e impermeabile alle derive che da essa possono nascere. Bisogna che gli uomini che reggono le sorti dello Stato siano integerrimi, che sappiano valutare le condotte degli uomini che guidano e garantire che essi  servano effettivamente lo Stato quando ricorrono alla ragion di Stato, che insomma siano percepiti così indiscutibilmente specchiati e al di sopra di ogni sospetto da non destare alcun dubbio se sono costretti ad una scelta così estrema.
Abbiamo noi governanti di tal fatta? Se si, dobbiamo fidarci di loro e accettare che “boss mafiosi, generali dei carabinieri, uomini politici siedano sullo stesso banco degli accusati” senza scandalizzarci. Se gli uomini di cui ci fidiamo hanno lasciato che servitori dello Stato, accusati di“essersi sporcate le mani”, venissero incriminati, vuol dire che hanno ritenuto tali servitori infedeli e degni di meritare un destino pari a quello del comune cittadino che infrange la legge.
Ma, ecco il punto, è la nostra classe politica all’altezza del suo compito e possiamo fidarci dei suoi uomini?

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