Il popolo degli zombi è perennemente in agguato pronto a
consumare il rito dell’eucaristia pagana non appena sente odore di sangue. Esso
è infatti puntualmente risorto per cannibalizzare Alex Schwazer caduto in una
marcia che ha tentato di correre imboccando la scorciatoia del doping.
Naturalmente non si può solidarizzare con chi ha tentato di
falsificare il risultato di una gara e scipparla a chi ha fatto sacrifici
onesti. Si può capire perciò la severità con cui Patrizio Oliva ha condannato Schwazer,
arrivando persino a censurare le lacrime dell’altoatesino e affermando che è
troppo comodo piangere, che le lacrime non possono cancellare la gravità dell’inganno.
Si è addirittura augurato che Schwazer sia radiato a vita piuttosto che sospeso
per due anni. E’ impressionante assistere alla impietosa reprimenda di Oliva
dopo avere assistito alla straziante conferenza stampa di Schwazer e viene da
chiedersi se Oliva non abbia esagerato, specie se ci si convince che il pentimento
mostrato da Schwazer è sincero. Un po’di rispetto, si potrebbe dire, per un
uomo in lacrime che ha saputo affrontare la gogna mediatica esponendosi
all’occhio crudele delle telecamere e ha saputo assumersi le sue responsabilità,
un uomo, per di più, che ha dato l’impressione di aver vissuto la sua scelta in
una solitudine troppo pesante per la sua fragilità, di non avere più sopportato
di convivere con essa e abbia deciso di condividerla facendo di tutto per farsi
scoprire. Al galantuomo in vena di razzismo alla rovescia che ha scritto : “ In
fondo Schwazer non è neppure italiano” è facile rispondere che infatti il
comportamento di Schwazer non è da italiani abituati a negare l’evidenza e ad
arrampicarsi sugli specchi pur di non assumersi le proprie responsabilità.
Tornando ad Oliva, pur privo di una qualsiasi forma di
pietà, egli ha l’autorevolezza e le carte in regola per consentirsi tanta
severità perché ha ottenuto e dato all’Italia i massimi risultati nella sua
disciplina imboccando la via maestra del rigore, perché è a contatto continuo
con il sacrificio degli atleti che allena e non riesce ad accettare che tutto
ciò venga tradito. La sua rabbia dunque, per quanto impietosa, egli se la può
permettere.
Chi non si può permettere di infierire su un uomo caduto
sono i soliti censori da strapazzo che non perdono occasione per dare sfogo al
loro livore da complessati orfani di una qualsiasi impresa che valga la pena di
essere ricordata, che traggono dalle disgrazie del loro prossimo la loro
ragione di vita, sono i cecchini rosi dalla rabbia della propria mediocrità che
si appollaiano sull’albero dell’anonimato per colpire chi fino ad allora hanno
dovuto osannare, realizzando così la loro rivincita. E’ la viltà di noi
italiani che abbiamo tributato onori e fasti al dittatore quando era in auge e
l’abbiamo appeso a testa in giù a Piazzale Loreto quando è caduto.
E, diciamolo pure, con buona pace di tutti i censori in
buona o in mala fede, si è fatto troppo rumore per una vicenda che non lo
meritava.
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