In una lettera al Corriere della Sera l’on.Casini invita a
raccogliere la lezione di De Gasperi e, come al solito, si propone con l’aria
del bravo ragazzo che cade dalle nuvole denunciando gli errori degli altri.
Evocando le parole di De Gasperi: “Un politico guarda alle
prossime elezioni, uno statista alle prossime generazioni”, egli accusa la
classe politica e una parte di quella dirigente di avere tradito la lezione di
De Gasperi coltivando “gli interessi di partito, di categoria e di
corporazione, e poco, o niente,” quelli delle “prossime generazioni”. Aggiunge
che il testimone di De Gasperi è stato raccolto “da uomini come Fanfani, La Malfa o Moro, personalità
capaci di guidare il Paese, attraverso scelte anche impopolari, fino a
risultati straordinari, con tassi di crescita che oggi definiremmo cinesi, un
Pil pro capite da quarta-quinta potenza economica mondiale, un’industria
manifatturiera seconda solo alla Germania”. L’on. Casini si è nutrito della
stessa cultura degli uomini che mostra di ammirare, una cultura che si ispirava
ai valori di un malinteso senso di giustizia sociale e di un cattolicesimo di
retroguardia che da lì a poco sarebbe stato superato dai nuovi indirizzi della
dottrina sociale della Chiesa. Prendendo il testimone di De Gasperi c’era da
fare una scelta tra i due vecchi antagonisti di sempre, libertà e uguaglianza,
sapendo leggere il messaggio di De Gasperi. L’Italia di allora era una Nazione
protesa verso i traguardi decantati dall’on. Casini grazie alla propria forza
vitale, al proprio ingegno, alla propria laboriosità e creatività, certamente
non grazie all’opera degli eredi di De Gasperi che fecero una scelta di
uguaglianza imbrigliando quelle risorse invece di incoraggiarle. In omaggio ad
un ideale di uguaglianza calata dall’alto, fu varato un welfare sprecone e
lottizzato che incoraggiò la nascita di corporazioni e lobby e finì per fissare
disuguaglianze tra privilegiati e non, soprattutto tra le generazioni delle
vacche grasse e le generazioni future penalizzate da un saccheggio delle
risorse pubbliche che non potevamo permetterci. Assistiamo alla corsa di chi
pretende di intestarsi valori liberali, dopo averli ignorati in una corsa folle
allo statalismo invasivo che ha soffocato l’economia del Paese pur di garantire
consorterie ormai consolidate e difficili da scalfire, mentre le nuove
generazioni affogano nei problemi di una esistenza senza futuro grazie ad una
scelta che parte da lontano e che è stata fatta dagli uomini che Casini
definisce statisti.
Figlio di questa cultura, ad ogni rintocco di campane a
morte, il nostro sale sull’ambone a denunciare i tradimenti della politica con aria
compunta e piglio scandalizzato, ma non
ci spiega dove era lui mentre si perpetravano questi tradimenti.
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