Un cane randagio
In un vecchio post intitolato “Il rovistatore”, descrivevo il personaggio di un vecchio indigente dall’aspetto dignitoso costretto dal bisogno a rovistare nel cassettone dell’immondizia alla ricerca di ciò che potesse essere ancora riciclato. Quell’uomo, nonostante la mortificante necessità cui era costretto, aveva un suo ritegno che lo fece avvampare di vergogna quando il mio sguardo sorpreso e imbarazzato si posò su di lui. Ricordo che, gli occhi pieni di lacrime, si sottrasse alla mia vista correndo col capo chino a nascondersi dove io non potessi raggiungerlo. Non ho mai più dimenticato quella scena e quell’uomo che, discendendo negli inferi della condizione umana, nel mentre si abbassava all’ umiliazione di quell’atto estremo, manteneva paradossalmente una sua dignità grazie al pudore della sua reazione. In quel vecchio c’era ancora la voglia di sentirsi uomo, di non abdicare alla sua natura, rovistava, si, nell’immondizia ma, venendo scoperto, avvertiva la vergogna del suo gesto e si ritraeva consapevole della miseria alla quale la sorte lo costringeva e alla quale aveva ancora la forza di ribellarsi con quel suo gesto di pudicizia, quasi a rivendicare che in lui era rimasta traccia della sua antica dignità.
Ho ricordato con dolore questo episodio allorché, a distanza di mesi, ho assistito ancora ad una scena analoga.
Mi sono reso conto che siamo destinati a fare i conti con il retaggio della dissennatezza umana che fatalmente ci consegnerà ad una fine ingloriosa, non dissimile da quella delle bestie. E’ sotto gli occhi di tutti l’incapacità dell’uomo di provvedere a se stesso e al proprio futuro e non è difficile preconizzare che in un tempo più o meno prossimo, molto prima che poi, man mano saremo in numero sempre maggiore alle prese con i nostri cassonetti dell’immondizia, protesi su di essi e intenti a contenderci gli avanzi con nostri simili sempre più numerosi e affamati.
Ieri ho visto il paradigma di quello che saremo in un barbone intento a rovistare dentro un cassonetto dell’immondizia alla ricerca di ciò che era commestibile e che portava alla bocca con aria famelica ingurgitandolo con voracità. Tuffato dentro il cassonetto piuttosto che chino su di esso, non si curava di chi lo guardava sconcertato e, privo di qualsiasi pudicizia, lercio, in preda ad una sorta di bramosia incontenibile, si abbandonava a quel banchetto immondo con avidità, quasi temendo che qualcuno gli contendesse quei miserabili avanzi. Si guardava attorno con aria inquieta, gli occhi stretti in una fessura iniettata di diffidenza, non sfiorato da alcuna vergogna ma determinato a difendere ad oltranza il suo prezioso ignobile pasto.
Ho trattenuto a stento la voglia di cacciarlo come si fa con le bestie e ho rivisto come in un flash la scena di qualche mese fa, di quando un vecchio indigente frugava anch’egli in un cassonetto, l’ho ricordato con tenerezza e affetto mentre fuggiva in preda al suo pudore conservando la sua condizione umana per se stesso e per noi e riflettevo sconsolato su come il tempo ci ha messo poco a trasformare quella dignità nella sconcezza di un barbone che digrigna i denti difendendo la sua preda come un cane randagio.
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