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martedì 16 agosto 2011
Il sovraffollamento nelle carceri
Ieri ho scritto sugli emarginati del ferragosto ma pare che la categoria degli emarginati sia infinita e tocchi tornare spesso sull’argomento. Oggi parlerò di quella dei detenuti, materia in cui sono particolarmente ferrato. Me ne offre lo spunto lo sciopero della fame nel quale è impegnato Pannella per sollecitare l’attenzione della distratta opinione pubblica sul problema del sovraffollamento nelle carceri italiane.
Facendo l’inventario dei fallimenti dello Stato, quello delle carceri vi può essere iscritto a pieno titolo assieme a quello della nostra classe politica, della nostra economia, della nostra società, della nostra giustizia. E’ un fallimento difficile da risolvere perché lontano dalla sensibilità della gente. Se lo Stato fallisce su tutto il resto, si becca le proteste più o meno vivaci dei cittadini, sterili quanto si vuole ma che hanno almeno la parvenza di una vitalità seppure votata all’insuccesso. L’ho già scritto, gli italiani si meritano quello che hanno. Quando invece si parla di carceri manca qualsiasi reazione garantista perché inconsciamente rimuoviamo il problema o, peggio, perché, avendone consapevolezza, l’affrontiamo con l’astio del giacobino che ritiene essere quello un mondo che merita le ingiustizie da cui è afflitto.
E’ convinzione comune che i delinquenti o presunti delinquenti, in quanto tali, hanno perduto il loro status di uomini, la loro dignità, il loro diritto ad un trattamento equo, come se l’obbligo di espiare la pena escludesse il diritto di espiarla in condizioni dignitose. Le carceri a due passi da casa nostra sono vissute come un corpo estraneo, o al massimo sono considerate con l’imbarazzo di chi sa che deve fasi perdonare la propria indifferenza ma non tollera di essere coinvolto nella battaglia per la sorte di gente che non sente simile e di essere turbato dalla presa di coscienza di una realtà così disumana.
Tale realtà rischia di apparire stucchevole e di essere scambiata per ricerca di commiserazione ed è per questo che ometto di descriverla, ed anche perché sono già stato oggetto dell’accusa di chi mi ha rimproverato di volere suscitare strumentalmente la pietà del prossimo. Un ex detenuto che ha trovato la via della redenzione, in un impeto di sacro furore, mi ha addirittura ringhiato che non meritano condizioni vivibili coloro che reiterano il reato tradendo la fiducia della società!
Ai palati severi e a quanti pontificano con il sopracciglio inarcato voglio però ricordare che questi reietti dell’umanità sono umanità essi stessi, sono parte di noi e che non è possibile rimuoverli fino a quando in Italia vigerà il divieto della pena di morte. Con la pena di morte alcuni di essi verrebbero rimossi e una parte del problema risolto, col carcere essi sono ben vivi e non possono essere affastellati, corpi senz’anima, nella fossa comune delle nostre coscienze ipocrite.
Ciascuno guardi nel proprio armadio e decida se può permettersi il rigore della censura e della tortura. Chi afferma che prova una sensazione di appagamento quando sente il tintinnio delle manette, chi afferma che i mafiosi debbono morire in carcere anche se hanno espiato la loro pena, chi ignora le condizioni di vita in carcere, non è migliore di chi ha sbagliato ma sta pagando il conto della propria colpa. I detenuti che stanno saldando il loro debito alla società, a fine pena, ma anche e a maggior ragione quando il fine pena è mai, possono dire di avere pareggiato i loro conti con lo Stato.
Può dire la stessa cosa uno Stato che costringe dei suoi cittadini a vivere in condizioni di estrema sofferenza e di gratuita disumanità? E’ ammissibile che lo Stato debba arrossire al cospetto di quelli che vengono considerati i suoi figli peggiori? Se è così, sono questi i figli che lo Stato si merita.
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Sinceramente gli italiani onesti, piuttosto che del sovraffollamento delle carceri, che spero lei contribuisca ad incrementare al più presto, hanno problemi più pressanti dei quali preoccuparsi.
RispondiEliminaIn particolare la devastante presenza della malavita organizzata.
Quando queste organizzazioni saranno distrutte e i loro appartenenti ingabbiati ed esposti al pubblico ludibrio, forse la società troverà la forza di crescere ed occuparsi di problemi come quello da lei citato.
Nel frattempo il fatto che alcuni di questi criminali si trovino nella condizione di subire i problemi dei quali sono concausa è una dello poche soddisfazioni che ci resta.