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lunedì 15 agosto 2011





Ferragosto

Come ogni anno il ferragosto ripropone lo scenario delle città deserte e il dramma della solitudine di chi non ha i mezzi per partecipare al rito delle vacanze e sperimenta in maniera più crudele del solito la diversità della propria condizione. Vivere al di sotto della soglia di povertà in compagnia della moltitudine che affolla le strade, è un conto, ci si sente quasi confortati dalla convivenza vissuta spalla a spalla, dal contatto con la gente, dalla banalità di una vita comune a tutti che sembra renderci uguali, dall’inganno delle incombenze solite che paiono riguardarci allo stesso modo e dall’illusione che siamo condannati senza eccezioni allo stesso destino. Lo struscio di una umanità che ci sfiora, l’alito caldo di chi ci respira addosso, il consueto, chiassoso rumore del traffico, sono un abbraccio confortante dal quale ci sentiamo protetti. Salutiamo i nostri amici ogni giorno alla stessa ora, incrociamo il nostro vicino mentre accompagna la sua cagnetta a fare pipì e talvolta ci fermiamo a permettere che i nostri amici a quattro zampe si annusino tra di loro, scambiamo chiacchiere da bar su Berlusconi e su come faremmo molto meglio se fossimo al posto di questi politici, ci fermiamo di fronte alle solite vetrine ad ammirare le mercanzie esposte e a raccogliere il solito sorriso di compatimento del commesso che sa che non compreremo niente, rientriamo a casa col corredo di ciò che abbiamo accumulato durante la giornata e che ci servirà ad arrivare fino all’indomani. Altro conto è la città deserta che scodella in tutta la sua crudeltà la solitudine per quanti sono rimasti ad aggirarsi senza la bussola dei consueti punti cardinali. Essi si guardano attorno spaesati alla ricerca dei riferimenti soliti, si muovono smarriti e angosciati, camminano per le strade avvistando a distanza altri solitari passeggiatori che si affrettano a dileguarsi quasi sentissero l’imbarazzo e la colpa di essere soli, realizzano che i propri anticorpi sono andati in vacanza, dove non possono essere raggiunti, che la vita si è spostata altrove e che a loro non è rimasto neanche il lusso dell’illusione. E’ allora che l’ infelicità atterra in una terra di nessuno e, privata della sua spoletta di sicurezza, rischia di deflagrare, che l’angoscia e tante voglie insane attanagliano il nostro cuore, che la delusione ci fa sentire traditi dalla solidarietà acquartierata in contrade più opulente. E’ allora che l’ozio diventa noia e la noia frustrazione, e Kundera ha un bel dire che chi contempla le finestre del buon Dio non si annoia, a ferragosto anche il buon Dio sembra essere andato in vacanza.

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