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lunedì 11 luglio 2011

Lettera aperta a Felice Cavallaro

Caro dr. Cavallaro,
meriterebbe che La trascinassi in tribunale per diffamazione ed anche per soppressione di illusioni!
Ma come, ho fatto tanto per guadagnarmi il rango di mafioso e Lei che fa? Mi definisce loquace? Ho dato un’occhiata al dizionario e alla voce loquace trovo i sinonimi: ciarliero, garrulo, ciarlone, chiacchierino, chiacchierone, logorroico, verboso. E’ chiaro, Lei mi vuole rovinare. Lei vuole rovinare la reputazione di un uomo che si è guadagnato i galloni di mafioso di primo piano proprio attenendosi al sano principio del “niente sacciu” e, solo perché per una volta vi ho derogato non sentendomela di starmene muto mentre il sig. Campanella sbarellava dimentico dei sani principi mafiosi ai quali io l’ho educato, Lei mi sputtana? Mi capisca, dr. Cavallaro, a tutto c’è un limite, quando è troppo è troppo e non ce l’ho fatta ad accettare, facendo ricorso alla proverbiale imperturbabilità mafiosa, che il signor Campanella assumesse oltre alle sembianze di Paolo fulminato sulla via di Damasco, anche quelle di Santa Maria Goretti che ci distilla le sue verità con aria compunta. Vivaddio il personaggio è pur sempre quello che ha truffato un intero paese per milioni di euro senza pagare pegno, che sta godendosi la sua penitenza dorata a patto che continui a dire ciò che ci si aspetta da lui e però, se parla lui è credibile, se invece parlo io mi becco l’epiteto di loquace. Che facciamo, caro dr. Cavallaro, ce ne stiamo zitti e non disturbiamo il manovratore solo perché un mafioso non ha il diritto di tenere un blog e se ne deve stare relegato nella sua brava riserva indiana, perché un mafioso è figlio di nessuno e può essere tranquillamente preso di mira con ironia e disprezzo, perché è impensabile e sconcio che un mafioso dica la sua? Non è Lei il solo che si scandalizza della mia loquacità, prima di Lei ci ha pensato un suo collega, l’egregio signor Bolzoni che, bontà sua, mi ha gratificato della sua attenzione e del suo tempo con l’aria, come Lei, di chiedersi: ma chi si crede di essere questo Mandalà, come osa uscire dai panni del mafiosaccio con la lupara a tracolla? Increduli e scandalizzati non per quello che scrivo ma perché scrivo, mi osservate col sopracciglio inarcato e mi liquidate con un: “loquace”.
Fortunatamente Lei mi fa riguadagnare l’onore dopo avere rischiato di farmelo perdere, dandomi del boss e del padrino, la reputazione è salva! Certo mi è caduto un mito, quello del Cavallaro giornalista sobrio e misurato che in passato non si è mescolato alla canea mediatica che mi ha attribuito tutto e il contrario di tutto, che mi ha fatto il processo in piazza consegnandomi all’opinione pubblica nelle vesti di mafioso di prima grandezza, che, reificando le proprie convinzioni, mi ha attribuito ruoli e responsabilità che neppure la magistratura mi ha attribuito senza preoccuparsi di guardare le carte processuali e scoprire che il mio unico e vero reato è quello di avere generato mio figlio Nicola. A tutto questo Lei in passato non si è mescolato ma ha rimediato adesso per una buona causa: restituirmi la reputazione di mafioso dopo averla incrinata dandomi del loquace.

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