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lunedì 11 luglio 2011

La presunzione di innocenza

L’on. Carlo Vizzini, chiamato in causa dalla magistratura per una storia di tangenti, proclama la sua innocenza e lamenta di essere vittima di una montatura mediatica. Figuriamoci se non siamo solidali con chi ha la sventura di entrare nel mirino di una stampa famelica che, infischiandosi della presunzione di innocenza, sposa senza riserve le tesi della pubblica accusa pur di fare “ammuina” e vendere più copie. Conosciamo bene, per averlo sperimentato sulla nostra pelle, il cosiddetto potere creativo della stampa che sostituisce il diritto con l’arbitrio e indulge alla cannibalizzazione della giustizia per far posto allo spettacolo. Non pretendiamo di pronunciarci sulla fondatezza o meno delle accuse, ma non possiamo dimenticare che stiamo parlando dell’attività di indagine della magistratura requirente che ancora deve passare al vaglio di quella giudicante, che debbono essere esperiti i tre gradi di giudizio prima di giungere alla verità processuale e che, fino ad allora, l’on. Vizzini deve essere considerato innocente. L’uomo non è di quelli che suscitano le nostre simpatie, anzi, quando gli è accaduto di esternare sui diritti degli imputati distinguendosi per le sue posizioni forcaiole, ci ha procurato un istintivo senso di ripulsa. E’ famosa la sua affermazione che i mafiosi debbono morire in carcere e in povertà per il solo fatto di essere mafiosi teorizzando il principio secondo cui avere scontato la pena non basta a saldare il conto con la giustizia, che un certo tipo di imputato ha un conto infinitamente aperto con la giustizia in virtù del suo status di mafioso e che, al di là del fatto che commetta o meno reati, merita di finire, come ha sentenziato un epigono dell’on. Vizzini, i suoi giorni in un gulag. L’on. Vizzini ha cioè teorizzato il principio, che i cultori del diritto dovrebbero attentamente esaminare ed eventualmente inserire nel nostro sistema giudiziario, secondo cui lo status che non ha prodotto il reato, la potenza che non si è tradotta in atto tanto per scomodare Aristotele, basta a meritare la pena. Se passasse questo principio, le carceri non basterebbero a ospitare tutti gli stupidi che si “annacano” atteggiandosi a mafiosi! Ci complimentiamo con l’on. Vizzini per il suo acume giuridico e, nonostante dissentiamo dalle sue stravaganti incursioni nel campo dei diritti o meglio dei non diritti dei mafiosi, gli auguriamo ugualmente di far valere i suoi diritti, memori della lezione di Voltaire che si diceva disposto a lottare per garantire i diritti di chi la pensava in maniera diversa dalla sua. Ciò, nonostante l’imputazione di corruzione contestata a chi facendo politica e impegnandosi a servire la società piuttosto che a tradirla, è odiosa. Rivendichiamo dunque il nostro garantismo ma non riusciamo a sottrarci a un pizzico di perfidia constatando come il giacobino Vizzini abbia incontrato sul suo cammino un giacobino più giacobino di lui e sia caduto sul terreno di una intransigenza più pura della sua!

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