Il mio blog parla per me e testimonia che non l’ho mai utilizzato per rivendicare la mia innocenza dall’accusa di associazione mafiosa che mi vede impegnato da 13 anni.
Ho declinato l’invito rivoltomi recentemente da alcuni giornalisti di rilasciare delle interviste proprio perché non volevo rischiare di lasciarmi trascinare in una difesa di me fuori dal mio processo.
Purtroppo 13 anni sono tanti e, fino a quando non si giunge ad una sentenza definitiva che fughi ogni dubbio, il massacro mediatico continua ad essere l’esercizio più diffuso a danno dell’imputato il quale ha, si, la possibilità di difendersi davanti al giudice ma non quella di fronteggiare il linciaggio che da per scontato ciò che scontato non è, secondo la consolidata consuetudine di dare per buone le imputazioni della pubblica accusa.
Purtroppo per me, sono stato accostato a personaggi politici che col tempo hanno scalato posizioni istituzionali prestigiose ma che, disgraziatamente per loro, non sono riusciti a scansare sospetti e indagini per presunte collusioni con il sottoscritto. Tutte le volte che ciò è accaduto, si è scatenata la solita canea su Mandalà autore di iniziative illecite date per certe anche se certe non erano visto che su di esse non c’è stata ancora una pronuncia definitiva della magistratura. Ora, per quanto io mi sia imposto di avere fiducia nello Stato certo di essere tutelato, ho dovuto constatare a mie spese che lo Stato non è in grado di difendermi da assalti che vengono considerati espressioni della libertà di stampa e di parola anche se massacrano l’immagine di un uomo che ancora ha diritto ad essere considerato innocente. Anzi lo Stato ha permesso che il mio processo si trascinasse per 13 lunghi anni lasciandomi esposto alla “libertà di parola” del giornalista di turno come dell’uomo della strada pervaso d’indignazione contro l’infame Mandalà. Tutte le volte che la mia identità è emersa, ho dovuto fare i conti con lo sgomento del mio interlocutore e con la crudeltà di chi mi invitava senza tanti complimenti a troncare i rapporti. E allora ho deciso di non starci più e l’ho deciso proprio in margine alla vicenda riguardante l’on. Romano, ministro impallinato prima ancora di cominciare perché accusato di avere avuto rapporti con me. Di fronte al solito copione che mi propone nella versione di regista occulto di manovre politico-mafiose, mi sono detto che non posso più aspettare i tempi biblici dello Stato per far conoscere la mia verità mentre in giro c’è chi si esercita a spalare immondizia senza contraddittorio, alcuni scrivendo di me senza aver letto le carte processuali, accusandomi di reati che neanche la magistratura mi ha mai contestato e attribuendomi una dimensione che non corrisponde alla mia posizione processuale, mi sono detto che non posso più tollerare di essere sbrigativamente liquidato come l’unico colpevole considerato tale per fede, l’unico male certo di ogni vicenda nella quale sono tirato in ballo, senza che nessuno si lasci sfiorare dal dovere della verifica, dal dubbio e dal rispetto dovuto al principio sacrosanto secondo cui l’imputato è da considerare innocente fino a che non sia condannato con sentenza definitiva. Per Mandalà la presunzione d’innocenza non vale e sulla sua colpevolezza tutti mettono la mano sul fuoco.
Come tutti mettono la mano sul fuoco sulla credibilità del signor Campanella il quale in lettere struggenti mi confessava tutto il suo affetto e mi invitava a considerarlo come un figlio ma al quale l’affetto non ha impedito di accusarmi, il quale, approfittando del suo incarico in banca e della fiducia dei clienti, ha operato truffe milionarie che hanno gettato sul lastrico intere famiglie private dei risparmi di una vita e non hanno graziato neanche parenti e amici, lo stesso Campanella che, mentre manifestava adoranti testimonianze d’affetto alla nonna, non ha esitato a farne una delle sue vittime. Un personaggio capace di queste acrobazie morali, che ha fatto dell’inganno la bussola della sua vita, che è afflitto da nevrosi da frustrazione per le sue ambizioni deluse, che è stato colto in diverse evidenti contraddizioni e false dichiarazioni, come può essere preso in considerazione in genere e in particolare quando racconta l’ennesima bufala sui rapporti tra me e l’on. Romano? Se c’è un fatto su cui non ci possono essere dubbi, non tanto perché lo dico io ma perché la stessa magistratura non ha mai provato il contrario, è che io non conosco e non ho mai avuto rapporti con l’on. Romano. Io Romano non lo conosco e non l’ho mai visto ed è inammissibile che su un rapporto mai esistito se non nella fantasia del signor Campanella si costruiscano accuse così gravi.
Questo può avvenire solo in un Paese in cui si è perduto il senso della misura, in cui la macelleria ha da tempo sostituito il rispetto per la verità e le persone e persino l’evidenza a favore dell’imputato, se è un imputato di mafia, è trattata col sospetto e i toni stizziti di chi teme siano messi a rischio i teoremi sui quali si costruiscono carriere e rendite di posizione, in cui il razzismo colora ogni considerazione sul mafioso ritenuto antropologicamente inferiore e immeritevole di diritti. In un paese come questo vadano al diavolo le cautele e il rispetto per le forme, da oggi tutte le volte che sarò vittima di entrate a gamba tesa, non mi tirerò indietro, costi quel che costi.
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