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martedì 28 settembre 2010
Esecuzioni di Stato
Venturini rivendica l’orgoglio di essere cittadino di un’Europa in cui la pena capitale è bandita, vantando addirittura un sentimento di superiorità civile rispetto ad altre appartenenze macchiate dalla barbarie delle esecuzioni di Stato. Certo Venturini non può fare a meno di rilevare comportamenti ai limiti del rispetto dei diritti umani anche in Europa portando ad esempio il modo in cui viene condotta la lotta alla immigrazione clandestina e la piaga “ delle organizzazioni criminali che in Italia non esitano a versare fiumi di sangue”. Ma, conclude, “lo Stato non uccide, la legge non uccide ed è questo lo spartiacque etico e giuridico a dividerci da una massa di Paesi” in cui vige la pena di morte.
Lo Stato italiano dunque non uccide secondo Venturini. Ne è proprio sicuro o non ha dimenticato tra i comportamenti ai limiti del rispetto dei diritti umani alcune barbarie inflitte dallo Stato italiano ai suoi cittadini che vanno ben al di là dei limiti del rispetto umano? Kant sosteneva che il rispetto è la premessa della virtù e che se esso manca, manca anche la virtù. E allora vediamo se lo Stato italiano è stato più o meno virtuoso nei confronti dei suoi cittadini.
Permettere l’infamia del 41 bis che mura vivi degli uomini privandoli degli elementari diritti relazionali persino con gli affetti più intimi per decenni e che ha fatto dichiarare al presidente della Corte Europea dei diritti dell’uomo, Jean Paul Casta: “Ancora per l’Italia la Corte ha sollevato dubbi sul frequente ricorso alla detenzione in isolamento di condannati per reati gravi come l’associazione mafiosa, con pesanti rischi per la salute psichica del carcerato”, è un comportamento virtuoso?
Permettere che continui ad essere in vigore l’ergastolo, spietato in se e ancora più spietato per le condizioni in cui viene scontato in Italia da detenuti storditi per decenni da ore, giorni, mesi, anni sempre uguali, instupiditi dalla solitudine, ossessionati dai loro passi, che coltivano conficcato nel cuore e nella mente il “ pensiero onirico latente” di quell’appuntamento estremo che è il suicidio, è un comportamento virtuoso?
Costringere 69.000 detenuti a vivere nello spazio sufficiente a ospitarne 43.000 “dentro prigioni tecnicamente fuori legge e tali dichiarate dalla Corte dei diritti dell’uomo fino ai tribunali di Sorveglianza di Cuneo e Napoli, stipati in attesa di giudizio come in nessun altro Paese d’Europa tranne la Turchia” ( Luigi Ferrarella nella stessa pagina in cui appare l’articolo di Venturini ), dove, aggiungo io per esperienza diretta, detenuti costretti a contendersi il poco spazio a disposizione vivono come polli in una stia, bivaccando per la maggior parte della giornata nella branda e aspettando il turno per andare in gabinetto, muovendosi con cautela per evitare che invasioni di campo nel clima esasperato di una convivenza forzata in così poco spazio possa sfociare in risse, condividendo l’aria viziata, gli odori, le flatulenze, le intimità più sconce della natura umana, privati di un minimo di intimità che fa la differenza con le bestie, è questo un comportamento virtuoso?
E il suicidio che sempre più frequentemente e sinistramente scandisce la vita di questi uomini, è o no una esecuzione di Stato?
sabato 25 settembre 2010
Le anime belle
Posso immaginare ( chi meglio di me potrebbe capirlo?) lo stato d’animo di chi è stato travolto da drammatiche vicende giudiziarie ed è costretto a pagare il danno di una vita stravolta e in più la beffa dell’ingratitudine incassata dalle anime belle con le quali ha condiviso fino a poco tempo fa la stagione delle vacche grasse e dalle quali si vede adesso ripudiato come fosse un lebbroso. Immagino anche che il nostro stia riflettendo sui suoi errori. Io mi permetto di contestargliene uno: come ha potuto, un uomo accorto come lui che ha fatto dell’astuzia la bussola con cui navigare nelle infide acque della politica siciliana, farsi prima colonizzare e poi cannibalizzare da un finto tonto che non ha avuto neanche bisogno di scendere in Sicilia e che dai dorati palazzi romani ha suonato il flauto e l’ha incantato costruendo sulla sua dote le di lui fortune per poi sbarazzarsene senza tanti complimenti? E’ possibile che anche egli sia stato vittima della sindrome del siciliano col complesso del provinciale e la voglia di farsi sodomizzare secondo un’antica tradizione delle nostre contrade?
I terribili vecchietti
giovedì 23 settembre 2010
La pena di morte
Questa cronaca letta sul Corriere mi ha ricordato il contenuto di due lettere ricevute da due miei compagni conosciuti in carcere. In una Giuseppe, che sta scontando una condanna all’ergastolo, riprendendo vecchi discorsi avuti durante le nostre passeggiate nel cortile di Pagliarelli, mi scrive: “Ritengo l’ergastolo una pena più crudele della morte. Esso è la condanna ad una parvenza di vita che parla solo a se stessa, monca, innaturale, senza connessioni col resto del mondo, è il destino di uomini che fanno della finzione una realtà vissuta disperatamente progettando sogni e coltivando speranze, sbirciando fuori dalla propria emarginazione e aspettando un segnale d’interesse per la propria sorte, aspettando di percepire che a qualcuno importa della loro vita,che qualcuno li consideri e, per ciò stesso, perché sono considerati, esistono. Noi ergastolani ci sforziamo di vivere, imponiamo con rabbia le nostre esistenze rivendicando il diritto alle nostre intelligenze contro quelli che vogliono seppellire i nostri sogni e revocare in dubbio l’autenticità del nostro sentire infliggendoci, assieme ad un futuro negato, l’astio perché osiamo. Siamo gli eredi di origini ormai lontane che, dopo decenni, stentano a ricordare, gli avanzi dolenti e confusi dell’antico contesto, ossessionati dal rumore dei nostri passi, privi di relazioni vitali,ormai irriconoscibili e costretti a vivere una vendetta inutile. René Girard ne “La nausea della vendetta” ha scritto: “Cercare l’originalità della vendetta è un’impresa vana. Nella misura in cui tutti i personaggi sono presi in una spirale di vendetta, possiamo dire che è maturata una tragedia senza inizio e senza fine”. Ebbene l’ergastolo come la vendetta è una tragedia senza fine in cui l’agostiniano tempo, assente nel nostro animo, diventa uno stillicidio senza passato né futuro, in cui si dimentica che vittima e carnefice sono i fili intrecciati di un’unica fune, in cui, come scrive Gibran, “insieme sono intessuti il filo bianco e il filo nero e, se il filo nero si spezza, il tessitore dovrà esaminare la tela da cima a fondo e provare di nuovo il suo telaio”. Gli uomini che sovrintendono alla nostra pena aspettano pazientemente che giungiamo a quell’appuntamento estremo che aleggia costantemente a fianco di noi ergastolani, il suicidio”. A questa lettera terribile ho risposto come ho potuto arrampicandomi sugli specchi di quello spietato principio di ispirazione cristiana che considera la vita un valore sacro con un senso ancora più compiuto se è vita di sofferenza, che accetta la volontà di Dio come causa prima ed ultima della nostra esistenza. Mi sono sentito un bastardo, ipocrita predicatore a buon mercato ma almeno ho dato una risposta. Nessuna risposta invece sono stato in grado di dare a quest’altra lettera scrittami da Antonio in regime di 41 bis: “Dopo i primi quindici minuti consentiti, il bambino mi fu sottratto e affidato alla madre. Egli mi sorrise da dietro il vetro divisorio e tese le braccia verso di me, incontrò il vetro e batté le mani contro di esso credendo in un gioco, sorrise ancora e ancora battè le mani, poi il sorriso si tramutò in singulto, le mani continuarono a battere e poi a battere ancora più freneticamente fino a quando un pianto disperato sgorgò dai suoi occhioni spalancati e sgomenti”.
Che dire? Ai nobili spiriti che si intestano nobili cause chiedo: è più giusto obbedire all’orgoglio dei principi e in nome di essi condurre la battaglia per l’abolizione della pena capitale o lasciarsi guidare dalla pietà e chiedere che l’ergastolo e il 41 bis siano tramutati nella condanna a morte?
mercoledì 8 settembre 2010
L’etica in cattedra
E’ un mistero il motivo per il quale il prof. Mancuso ha reso pubblico il proprio travaglio a proposito dell’opportunità o meno di continuare a pubblicare per Mondadori, perché ha avvertito questo travaglio così tardi, perché, avendo infine sciolto ogni riserva e deciso di non pubblicare più per Mondadori, ha escluso da questa sua decisione il suo ultimo lavoro che uscirà ancora per i tipi di Mondadori. Siamo assediati da un’orgia di etica ostentata e predicata dai pulpiti più improbabili a proposito e a sproposito, attribuita a ciò cui non va attribuita, passaporto per le escursioni più spericolate nel mondo dell’illogico purché odori d’incenso, orgia d’ipocrisia in cui le coscienze individuali sono portate all’ammasso e i soliti sacerdoti della superiorità morale si siedono in cattedra pretendendo di impartirci lezioni di morale e finendo per snaturare l’onesta etica e trasformarla in moralismo. Ebbene, un uomo del valore di Mancuso rischia di trovarsi in simile compagnia quando chiama a raccolta gli autori che pubblicano per Mondadori e li invita ad un giudizio comune che sa tanto di ordalia. Perché rivendicare pubblicamente l’etica e inflazionarla in un ambito così vasto invece di recintarla nel proprio intimo? Ritengo che un’etica sentita nel suo spirito più autentico avrebbe dovuto dissuadere Mancuso dal tentativo di coinvolgere nella sua decisione di lasciare Mondadori altri autori evitando un sabotaggio che un sodalizio così antico e rispettoso delle reciproche dignità non meritava e che la sua coscienza avrebbe dovuto sconsigliare proprio per un imperativo di natura etica. Dissentire si, scegliere altre vie va bene, ma senza tanto clamore. E non solo, se il prof. Mancuso tira in ballo pubblicamente l’etica come motivazione del suo disagio nel continuare a collaborare con Mondadori, si espone a rilievi difficilmente non condivisibili. E’ già un azzardo considerare l’etica la stella polare della teologia, ancor di più lo è pretendere di farla coincidere con l’economia. Che c’entra infatti l’etica con le logiche aziendali? Le aziende obbediscono a criteri che hanno a cuore gli utili e in questo obiettivo consiste la loro etica visto che nascono con questa vocazione che, fra l’altro, non è fine a se stessa ma produce il risultato virtuoso dei posti di lavoro e dunque del benessere sociale. Certo non si può tollerare che le aziende non rispettino le leggi ma non mi risulta che Mondadori sia un’azienda fuori legge e, se per il prof. Mancuso il problema è che l’azienda di Segrate possa avere qualche scheletro nell’armadio, stia attento a dove approda. Forse che pubblicando per un’altra casa editrice egli può essere sicuro di ciò che si annida nell’armadio di essa o pretenderà di leggerne i libri contabili prima di iniziare la sua collaborazione? L’etica è una categoria spietata che non concede sconti e allora tanto vale che il prof. Mancuso, se teme di sporcarsi con gli schizzi della spregiudicatezza umana, affidi i suoi scritti ai tamburi della savana. Rimane il mistero del perché i suoi scrupoli giungono così in ritardo in relazione ad una collaborazione posta in essere quando già