In questa rovente estate 2010 l’Italia di Pulcinella ha dato il meglio di se mettendo in cartellone la solita sceneggiata dei puri opposti agli impuri.
Da una parte imperversa il partito delle anime belle che ha lo scandalo facile e scopre l’acqua calda ad ogni pié sospinto proclamando con piglio da vergine violata la propria indignazione. Dall’altra parte risponde il partito delle facce di bronzo che hanno buttato la maschera e messo a nudo la loro vocazione di apprendisti stregoni. Su questi ultimi non merita che ci si dilunghi granché perché la loro ruspante sfrontatezza non si presta a complicate analisi. Sono usciti allo scoperto e mostrato che cosa si nascondeva dietro i proclami su garantismo e liberalismo con i quali un populismo senza pudore ha suonato il piffero al popolo credulone. La vera natura di questi signori si sta rivelando grazie ad una vera e propria campagna di guerra mossa contro la bulimia immobiliare dell’on. Fini ( la cui intransigenza morale, sia detto per inciso, sta pagando la legge del contrappasso ) esposto alla stessa esecuzione sommaria lamentata in passato dagli attuali censori e che a sua volta risponde senza farsi tanti scrupoli di tenere la sua alta carica alla larga dalle beghe di partito. Qui non c’è niente da analizzare, tutto secondo copione, senza pudori ma anche senza ipocrisie.
Un discorso più articolato va fatto per i soliti appaltatori della pubblica (e anche privata) morale e delle giuste cause. C’è l’imbarazzo della scelta in un panorama da cui si leva un brusio di lamenti sui temi più vari che vanno dalla crisi di coscienza che affligge chi collabora con Mondadori, agli appelli di Veltroni alla Nazione, al coro indignato contro il dispotico Marchionne che osa tenere tre operai lontani dalle catene di montaggio Fiat alle quali gli stessi hanno riservato attenzioni non proprio ispirate all’interesse dell’azienda.
Merita rispetto la crisi di coscienza del prof. Mancuso il quale non riesce a decidersi se continuare a pubblicare o meno per una casa editrice, la Mondadori, che ha liquidato con pochi spiccioli il suo enorme debito con l’erario ( ma Mondadori non ha vinto i primi due gradi di giudizio nella causa con il fisco? ). Ma, se pure si possono comprendere i tormenti di Mancuso, si comprende meno la chiamata alle armi che questi ha rivolto agli autori della Mondadori invitandoli a riflettere su un caso di coscienza che essi da soli non avevano avvertito in tanti anni di collaborazione con l’azienda. Qualcuno, come Odifreddi, lo ha mandato a quel paese, qualcun altro ha finto di riflettere, resta il fatto che Mancuso, invocando l’etica “ di cui ha fatto la stella polare della sua teologia “, invece di risolvere nel suo intimo i suoi problemi di coscienza, ne ha fatto oggetto di bando rasentando l’incitamento al sabotaggio nei confronti di una azienda in cui è cresciuto professionalmente senza essere mai stato censurato, in cui ha coltivato amicizie ed affetti e della cui proprietà era a conoscenza fin dall’inizio della sua collaborazione. A proposito di etica, non direi che sia proprio il massimo!
La lettera di Veltroni al Paese apparsa sul Corriere di martedì 24 agosto, contiene tutti gli ingredienti che spiegano la vocazione al suicidio di una sinistra che risolve la propria crisi d’identità cadendo come al solito dal pero,con generici appelli alla virtù, rimuovendo la propria storia ed evitando accuratamente ogni autocritica che individui le sue colpe dalle quali trarre salutari insegnamenti. Veltroni che chiude la sua lettera invitando “il nostro Paese a smettere di vivere dominato solo da passioni tristi”, dovrebbe spiegarci quali motivi hanno gli italiani per non sentirsi tristi e dare un ripassatina alla sua lettera intrisa delle solite malinconiche ovvietà. In essa troverà la solidarietà pelosa nei confronti degli “imprenditori che fanno e rifanno i conti della loro azienda chiedendosi perché metà del loro lavoro di un anno debba andare a finanziare uno Stato che non riesce a finire da sempre la costruzione di un’autostrada come Salerno-Reggio Calabria o che alimenta autentici colossi del malaffare come quelli emersi in questi mesi”. Va bene lo strabismo politico ma a tutto c’è un limite e l’on. Veltroni dovrebbe dirci dove era lui quando è emerso il malaffare di tangentopoli, dov’era in tutti questi anni in cui si è rappresentata la storia infinita della Salerno-Reggio Calabria, dov’era quando lo Stato si è indebitato a tal punto da trasformarsi in una idrovora avida della metà del lavoro delle aziende. E dov’erano lui e i partiti ai quali via via si è riferito, dal Pci al Pd, quando si sono gettate le basi della tragedia dei ragazzi precari “senza uno straccio di certezza, senza un euro per la pensione, senza un lavoro sicuro, senza una casa, senza la certezza di potere mettere al mondo dei figli”. Lui e i partiti ai quali si è riferito c’entrano qualcosa con la follia del tutto e subito che i sindacati chiedevano e ottenevano da una realtà economico-sociale assolutamente impreparata a soddisfare questa richieste e spogliata delle risorse necessarie al futuro di questi ragazzi? Questi ragazzi non riescono più a sorridere perché sono stati spogliati dall’egoismo dei loro genitori, il loro stato d’animo è privo di speranze, rassegnato ad una realtà precaria, incapace dei sussulti d’orgoglio dei giovani di una volta perché qualcuno li ha depredati del loro futuro, non sanno progettare perché sono consapevoli di essere fuori dai giochi, altro che avere “la sensazione di essere dentro una storia che va avanti” come auspica Severgnini. E quando l’on. Veltroni cade dalle nuvole chiedendo cosa sta accadendo a noi italiani, dovrebbe spiegarci lui che cosa sta accadendo interrogando la politica di cui è un insigne rappresentante, chiedendo a se stesso e agli altri attori della politica perché il costume si è così imbarbarito e darci risposte non demonizzando l’avversario, ché quello è già messo male di suo senza bisogno di essere sputtanato, ma informandoci su quello che la politica ha fatto per evitare la “profonda crisi del nostro sistema” e su quello che ancora farà.
E per favore non ci venga a parlare di populismo come se il populismo l’avesse inventato Berlusconi e lui stesso fosse indenne da quest’accusa piovutagli addosso proprio ad opera dei suoi amici di partito all’indomani della pubblicazione della sua lettera, non ci venga a parlare di “monarchia livida e pura difesa dell’esistente”, di democrazia a rischio “sotto la pressione delle spinte populiste e di dei conservatorismi di varia natura”, di “democrazia autoritaria”, quando semmai il problema è quello dell’assenza di una legittima capacità decisionale in grado di affrontare e risolvere in tempi brevi i problemi, che tanto avvilisce il Cavaliere e che lo stesso on. Veltroni lamenta. Se la parte politica dell’on. Veltroni, invece di gridare al golpe tutte le volte che si parla di modifica della Costituzione, desse un’occhiata in giro, si renderebbe conto che in democrazie molto più solide della nostra, come in Inghilterra, (è utile in proposito la lettura di un articolo di Piero Ostellino apparso sul Corriere del 23 agosto) non è scandaloso prevedere maggiori poteri per il Presidente del Consiglio tra cui quello di sciogliere le Camere e codificare con chiarezza il ritorno alle urne in caso di crisi della maggioranza eletta dai cittadini. Sicuramente verrebbe garantito il miglior funzionamento di uno Stato “forte e decidente” e si sottrarrebbero alibi alle lamentate tentazioni autoritarie del Cavaliere.
Infine quando l’on. Veltroni si rammarica che “se un milione e mezzo dei 38 milioni di votanti avesse scelto il centrosinistra riformista invece di Berlusconi ora saremmo noi a guidare il Paese”, invece di colpevolizzare gli italiani, si è chiesto perché questi elettori hanno scelto Berlusconi anziché il centrosinistra ed è proprio sicuro che il centrosinistra avrebbe fatto meglio alla luce del vuoto di contenuti che sta schierando nel campo dell’opposizione a Berlusconi? E le magnifiche sorti e progressive che l’on. Veltroni prefigura dopo la fine dell’era Berlusconi, basate su “schieramenti fondati sulla comunanza dei valori e dei progetti capaci di riconoscersi e legittimarsi reciprocamente”, è proprio sicuro che allieteranno la travagliata vita degli italiani?
Ho un’età che mi permette di ricordare con preoccupazione che cosa ha significato per l’Italia la comunanza di interessi tra i due maggiori partiti italiani d’allora, la Dc e il Pci, che sottobanco decidevano cosa fare delle sorti degli italiani colludendo in un consociativismo che è stato il forcipe dei mali che ancora ci affliggono.
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giovedì 26 agosto 2010
mercoledì 11 agosto 2010
Sporchi, brutti e cattivi
Tutto ormai è all’insegna del politicamente corretto e il politicamente corretto impone che si obbedisca alle verità dei pochi stabilite nelle sedi che contano. Chi dissente è oggetto di scomunica, rischia il rogo riservato agli eretici e ciò che esce fuori dal novero delle verità protette è destinato all’indifferenza se non al disprezzo. I toni sono trancianti e non ammettono replica. Se ne ha la sensazione netta leggendo le analisi che da più parti sono state fatte sui temi in scaletta nell’intesa programmatica sulla quale Berlusconi dovrebbe intendersi con Fini, economia, federalismo, giustizia, Mezzogiorno e via proponendo e suggerendo le precedenze che, all’interno di ciascun tema,devono essere date, rivendicando alle esigenze dei cittadini il diritto di dettare le precedenze e naturalmente pretendendo di dettare il decalogo di queste esigenze. Apprendiamo così che tra le esigenze primarie dei cittadini c’è l’accantonamento della “sciagurata legge sulle intercettazioni che ha come scopo di condizionare la stampa”, anche se qualche giornalista che sa il fatto suo ha messo in dubbio che la battaglia ingaggiata dalla Federazione della stampa contro “ la legge bavaglio “ sia una battaglia in difesa della libertà di informazione quanto non piuttosto una battaglia in difesa dell’impunità dei giornalisti. Rientra tra le esigenze prioritarie dei cittadini la difesa della casta dei giornalisti?
Apprendiamo inoltre che in tema di giustizia le esigenze dei cittadini impongono che si dia priorità alla riforma della giustizia civile perché, si dice, i cavilli e i laccioli di cui è disseminata la legislazione che regolamenta la giustizia civile deprimono le imprese e i tempi lunghi che affliggono la conclusione dei processi (sempre quelli civili) scoraggiano investimenti di aziende estere. Potenza degli affari! Nessun accenno invece alle condizioni della giustizia penale. Per quanto ci siamo sforzati non abbiamo trovato menzione di alcuna proposta che ritenga prioritario porre mano alla riduzione della lunghezza dei tempi dei processi penali e della detenzione preventiva, evitare che il diritto d’informazione si trasformi in diritto d’arbitrio con norme che obblighino a riferire con pari rilievo le ragioni dell’accusa e della difesa sulle vicende giudiziarie di chi ancora deve essere processato ed è costretto a subire esecuzioni sommarie in piazza grazie ad un giornalismo che si appiattisce sulle posizioni dell’accusa: altro che libertà d’informazione!
Non abbiamo trovato traccia dell’invocazione di alcuna esigenza con riferimento all’affollamento delle carceri e alle condizioni di vita dei detenuti che sempre più spesso conducono al suicidio. Ma capiamo che questa è materia che urta la sensibilità dei palati raffinati e provoca un senso di fastidio in quanti considerano le esigenze di questi concittadini sporchi, brutti e cattivi, un lusso di cui non merita occuparsi e lo rimuovono con un’alzata di spalle. Meglio ignorarli, meglio non dare l’idea della solita Italia mammona e incline al pietismo accattone che rischia di proiettare l’immagine di un Paese che sui temi della sicurezza non offre garanzie di severità, meglio rassicurare i bravi cittadini che la loro quiete è al riparo da colpi di mano, tanto questi delinquenti sono senza santi protettori e non servono a nessuna causa, di loro ci si può tranquillamente e con serafica indifferenza dimenticare!
Apprendiamo inoltre che in tema di giustizia le esigenze dei cittadini impongono che si dia priorità alla riforma della giustizia civile perché, si dice, i cavilli e i laccioli di cui è disseminata la legislazione che regolamenta la giustizia civile deprimono le imprese e i tempi lunghi che affliggono la conclusione dei processi (sempre quelli civili) scoraggiano investimenti di aziende estere. Potenza degli affari! Nessun accenno invece alle condizioni della giustizia penale. Per quanto ci siamo sforzati non abbiamo trovato menzione di alcuna proposta che ritenga prioritario porre mano alla riduzione della lunghezza dei tempi dei processi penali e della detenzione preventiva, evitare che il diritto d’informazione si trasformi in diritto d’arbitrio con norme che obblighino a riferire con pari rilievo le ragioni dell’accusa e della difesa sulle vicende giudiziarie di chi ancora deve essere processato ed è costretto a subire esecuzioni sommarie in piazza grazie ad un giornalismo che si appiattisce sulle posizioni dell’accusa: altro che libertà d’informazione!
Non abbiamo trovato traccia dell’invocazione di alcuna esigenza con riferimento all’affollamento delle carceri e alle condizioni di vita dei detenuti che sempre più spesso conducono al suicidio. Ma capiamo che questa è materia che urta la sensibilità dei palati raffinati e provoca un senso di fastidio in quanti considerano le esigenze di questi concittadini sporchi, brutti e cattivi, un lusso di cui non merita occuparsi e lo rimuovono con un’alzata di spalle. Meglio ignorarli, meglio non dare l’idea della solita Italia mammona e incline al pietismo accattone che rischia di proiettare l’immagine di un Paese che sui temi della sicurezza non offre garanzie di severità, meglio rassicurare i bravi cittadini che la loro quiete è al riparo da colpi di mano, tanto questi delinquenti sono senza santi protettori e non servono a nessuna causa, di loro ci si può tranquillamente e con serafica indifferenza dimenticare!
giovedì 5 agosto 2010
Quale sconfitta?
Melisso già nel V° secolo a.C. contestava il suo maestro Parmenide che parlava dell’essere sferiforme e finito e perciò perfetto, sostenendo che l’essere limitato proprio perché limitato confina col vuoto e cioè col non-essere che è impensabile. E’ sempre esistito un problema che angoscia l’uomo costretto a vivere a contatto con il mistero dell’infinito che percepiamo così vicino eppure così lontano, di un ignoto che sentiamo prossimo e di cui non conosciamo nulla, discutiamo di cosa ci attende o non ci attende dopo la morte, se c’è il nulla o l’al di là pieno della vera vita e dibattiamo anche se è giusto vivere o morire quando le condizioni di vita sono ai limiti dell’umano. E’questa una delle occasioni in cui ci interroghiamo sulla morte e tuttavia anche in questa circostanza è raro che ne cogliamo il mistero e ragioniamo su quale è l’atteggiamento più consono quando pensiamo ad essa , se di distacco, se di timore, se di indifferenza perché tendiamo a non percepirla come un evento che ci riguarda. C’è chi, ricorrendo alla esemplificazione di una filosofia consolatoria, suole dire che la morte non gli fa paura perché tanto finché c’è lui non c’è lei e quando c’è lei lui ormai non c’è più. Ma, a parte l’eristica paradossale di questa costruzione, la morte sta subendo uno attacco molto più serio portato proprio al suo mistero, alla sua sacralità che la pone al confine della domanda senza risposta che è quella su cosa ci attende dopo la fine dei nostri giorni terreni. L’immoralità della nostra inconsistenza raggiunta dopo i velocissimi anni di un nichilismo d’accatto che ha sfatato tanti miti e, direi, tanti valori, è riuscita ad assestare il colpo più duro che si potesse immaginare alla morte che ama prendersi tanto sul serio, snobbandola con una indifferenza che non nasce dalla forza del nostro animo, ma da quella del nostro limite.
Semplicemente non avvertiamo più il fascino del suo mistero perché abbiamo praticato l’iconoclastia dei valori che hanno accompagnato l’uomo per secoli lasciandoci fagocitare a poco a poco e sempre più inesorabilmente dall’ovvio inalato nelle nostre menti fino all’oblio delle nostre coscienze. Ecco non abbiamo più coscienza di noi e non riusciamo a percepire ormai che cosa ci riguardi veramente se non l’ovvio da cui siamo stati plasmati, viviamo in quel nulla tanto paventato da Melisso, figurarsi se possiamo appassionarci a questa misteriosa incombenza che è la morte e ad avere rispetto per questa ormai dimessa signora. La infliggiamo agli altri e a noi stessi senza l’esitazione e il rispetto che essa esige, la pratichiamo con la stessa levità con cui siamo stati educati a consumare le nostre vite senza contenuti. Forse qualcuno dirà che così abbiamo sconfitto la morte, noi siamo più propensi a ritenere che in realtà abbiamo sconfitto noi stessi.
Semplicemente non avvertiamo più il fascino del suo mistero perché abbiamo praticato l’iconoclastia dei valori che hanno accompagnato l’uomo per secoli lasciandoci fagocitare a poco a poco e sempre più inesorabilmente dall’ovvio inalato nelle nostre menti fino all’oblio delle nostre coscienze. Ecco non abbiamo più coscienza di noi e non riusciamo a percepire ormai che cosa ci riguardi veramente se non l’ovvio da cui siamo stati plasmati, viviamo in quel nulla tanto paventato da Melisso, figurarsi se possiamo appassionarci a questa misteriosa incombenza che è la morte e ad avere rispetto per questa ormai dimessa signora. La infliggiamo agli altri e a noi stessi senza l’esitazione e il rispetto che essa esige, la pratichiamo con la stessa levità con cui siamo stati educati a consumare le nostre vite senza contenuti. Forse qualcuno dirà che così abbiamo sconfitto la morte, noi siamo più propensi a ritenere che in realtà abbiamo sconfitto noi stessi.
A proposito dei……Fini
Non vogliamo entrare nel merito dell’implosione del Pdl, di chi è più o meno responsabile di essa, di chi ha torto o ragione, di chi ci ha ridotti in un cul de sac dopo averci illuso che ci attendeva la stagione delle riforme epocali, perché siamo stanchi del “teatrino della politica” lamentato da Berlusconi e di cui, guarda caso, la legge del contrappasso lo ha visto protagonista. Ci penseranno gli elettori a dire chi ha avuto torto o ragione o forse a non dire un bel niente e a farsi gabellare dai consueti mistificatori dalla faccia di bronzo. Ci intriga invece il personaggio amletico che è venuto fuori da questa vicenda e che, bisogna dirlo, ci confonde, quello dell’on. Fini.
In un recente articolo Gian Antonio Stella, giornalista del Corriere della Sera, che ama fare le pulci alle anomalie italiane con dati solitamente inconfutabili, ha colto la contraddizione del nostro personaggio garantista e giustizialista a corrente alterna citando dichiarazioni e comportamenti che hanno contraddistinto le diverse tappe della vita politica del presidente della Camera.
Stella risale alla prima esternazione dell’on. Fini resa a proposito del famoso discorso di Craxi alla Camera dei deputati all’epoca di tangentopoli, con cui il segretario del Psi fece una chiamata di correità dell’intera classe politica e che l’on. Fini definì “una patetica autodifesa”. Sempre Stella ricorda la posizione intransigente di Fini contro l’esortazione di Scalfaro ai magistrati perché non esagerassero con le manette, l’esultanza dopo il primo avviso di garanzia ad Andreotti e la sua proposta di sospendere gli stipendi ai parlamentari inquisiti considerando un privilegio medievale l’immunità parlamentare. Infine è di questi giorni la dichiarazione: “ Il Parlamento deve essere garantista ma ciò non può giustificare quello che giustificabile non è, perché l’etica dei comportamenti pubblici è la precondizione perché ci sia fiducia nelle istituzioni”. Tutte esternazioni che non lasciano dubbi sul rigore dell’on. Fini e che meritano rispetto, anche se Bobo Craxi qualche dubbio sulla autenticità di questo rigore lo ha espresso definendolo sprezzantemente “forcaiolo”. Per quanto ci riguarda ci limitiamo far notare che le dichiarazioni intransigenti dell’on. Fini contraddicono comportamenti di segno opposto messi in atto allorché egli ha traghettato il suo partito in un contenitore, il Pdl, garantista senza ma e senza se, inducendolo a votare contro tutte le richieste di arresto dei parlamentari avanzate dai magistrati nei confronti di Previti, Cito, Giudice, Dell’Utri, Sanza etc., secondo quanto riferisce l’impagabile Stella e a far quadrato, aggiungiamo noi, in difesa dell’on. Bocchino quando questi è stato sfiorato da una inchiesta giudiziaria. Compendio di queste contraddizioni è il ruolo di paladino della morale pubblica nel quale si è calato l’on. Granata che pure in passato è stato assessore nel governo Cuffaro e oggi è supporter del governo Lombardo bacchettato dai magistrati per “condotte moralmente deprecabili”. Garantismo dunque o giustizialismo?
Confessiamo di non capirci granché e respingiamo la tentazione di condividere le maldicenze del chiacchiericcio sussurrato secondo cui le dichiarazione e i comportamenti dell’on. Fini si barcamenano tra il rigore dei principi e la strategia dei….fini che di volta in volta egli si prefigge!
In un recente articolo Gian Antonio Stella, giornalista del Corriere della Sera, che ama fare le pulci alle anomalie italiane con dati solitamente inconfutabili, ha colto la contraddizione del nostro personaggio garantista e giustizialista a corrente alterna citando dichiarazioni e comportamenti che hanno contraddistinto le diverse tappe della vita politica del presidente della Camera.
Stella risale alla prima esternazione dell’on. Fini resa a proposito del famoso discorso di Craxi alla Camera dei deputati all’epoca di tangentopoli, con cui il segretario del Psi fece una chiamata di correità dell’intera classe politica e che l’on. Fini definì “una patetica autodifesa”. Sempre Stella ricorda la posizione intransigente di Fini contro l’esortazione di Scalfaro ai magistrati perché non esagerassero con le manette, l’esultanza dopo il primo avviso di garanzia ad Andreotti e la sua proposta di sospendere gli stipendi ai parlamentari inquisiti considerando un privilegio medievale l’immunità parlamentare. Infine è di questi giorni la dichiarazione: “ Il Parlamento deve essere garantista ma ciò non può giustificare quello che giustificabile non è, perché l’etica dei comportamenti pubblici è la precondizione perché ci sia fiducia nelle istituzioni”. Tutte esternazioni che non lasciano dubbi sul rigore dell’on. Fini e che meritano rispetto, anche se Bobo Craxi qualche dubbio sulla autenticità di questo rigore lo ha espresso definendolo sprezzantemente “forcaiolo”. Per quanto ci riguarda ci limitiamo far notare che le dichiarazioni intransigenti dell’on. Fini contraddicono comportamenti di segno opposto messi in atto allorché egli ha traghettato il suo partito in un contenitore, il Pdl, garantista senza ma e senza se, inducendolo a votare contro tutte le richieste di arresto dei parlamentari avanzate dai magistrati nei confronti di Previti, Cito, Giudice, Dell’Utri, Sanza etc., secondo quanto riferisce l’impagabile Stella e a far quadrato, aggiungiamo noi, in difesa dell’on. Bocchino quando questi è stato sfiorato da una inchiesta giudiziaria. Compendio di queste contraddizioni è il ruolo di paladino della morale pubblica nel quale si è calato l’on. Granata che pure in passato è stato assessore nel governo Cuffaro e oggi è supporter del governo Lombardo bacchettato dai magistrati per “condotte moralmente deprecabili”. Garantismo dunque o giustizialismo?
Confessiamo di non capirci granché e respingiamo la tentazione di condividere le maldicenze del chiacchiericcio sussurrato secondo cui le dichiarazione e i comportamenti dell’on. Fini si barcamenano tra il rigore dei principi e la strategia dei….fini che di volta in volta egli si prefigge!
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