La vicenda dell’aggressione a Berlusconi è il conto salato presentato alla cultura liberale del nostro Paese. Ci compiacciamo che, in una democrazia compiuta, le minoranze siano tutelate ma, ahinoi, piangiamo le conseguenze della nostra tolleranza. Certe minoranze infide, annidate nel corpo della democrazia, tentano di corroderla con il tarlo della faziosità e della arroganza, rivendicando una loro superiorità morale e intellettuale. Questi improbabili filosofi che, rifacendosi a Platone, pretendano di ispirare la cosa pubblica con i loro talenti, sono i novelli maîtres
à penser che avvelenano la nostra democrazia, i cattivi maestri di masse incolte istigate all’odio e alla violenza.
Ha ragione Umberto Ambrosoli quando sostiene che, rispetto agli anni ’70, oggi non si possono invocare i fermenti sociali quali detonatori della violenza, c’è solo il frutto dei semi dell’odio sparsi da chi non tollera di essere minoranza ininfluente. E’ la sindrome da delirio di chi ritiene di essere ingiustamente emarginato e vive la propria sorte con la rabbia del torto subito, una sorta di stupore per essere stato leso nella propria maestà.
Il risultato è sotto gli occhi di tutti e Di Pietro è il volto livido di una minoranza autoreferenziale, astiosa e supponente.
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