La pena di morte
Ci tocca tornare a parlare dei reietti
dopo che il Papa ha deciso di riscrivere il catechismo affermando che
“la pena di morte è inammissibile perché attenta
all’inviolabilità e dignità della persona”. Il Vangelo, secondo
la lettura intransigente del Papa che, per inciso, contraddice
posizioni di diverso avviso di alcuni Padri della Chiesa, non
consente all’uomo di violare la vita concedendogli solo la libertà
di viverla, seppure con sofferenza, in obbedienza al volere divino.
Che dire? Riesce difficile condividere una logica che non lascia
spazio al libero arbitrio dell’uomo e non gli permette di
ribellarsi al destino persino quando esso condanna al dolore. E
tuttavia anche per chi si schiera dalla parte del Papa si impongono
alcune riserve. Cosa significa infatti parlare di dignità della
persona come fa il Papa limitandosi ad ammonire che la pena di morte
attenta ad essa ma ignorando che la dignità reclama ragioni alle
quali è la vita stessa ad attentare più che la morte? Che dignità
è quella vissuta da chi vive in stato di costrizione senza
prospettiva che questa condizione cessi se non con la morte? E’ la
condizione degli ergastolani, dannati che muoiono ogni giorno vivendo
una vita apparente, che trascinano le loro giornate scandite dal
suono dei loro passi sempre uguali e sempre più stanchi, uomini
murati vivi che cercano di dare un senso ad una esistenza senza più
ragioni, diventati, dopo decenni di carcere duro, estranei a se
stessi, avanzi dolenti dell’antico contesto, ossessionati dal
pensiero onirico latente di quell’infido appuntamento estremo che è
il suicidio, vittime di quella che Girard chiama “vendetta
inutile”, frutto di una società in cui “il malvagio e il debole
non possono cadere più in basso della peggiore bassezza che c’è
anche in tutti noi…..perché, come una foglia non impallidisce
senza la muta complicità di tutta la pianta, così il malvagio non
potrà nuocere senza il tacito consenso di tutti noi” (Kahlil
Gibran). Invocano la morte come una liberazione mentre guardano
all’orizzonte infinito del fine pena mai. E’ un contesto nel
quale la persona è privata della propria dignità dalla vita
piuttosto che dalla morte. In queste condizioni la vita non merita di
essere vissuta e la Chiesa non può restare sorda alla pietà
limitandosi a proclamare il mantra della sacralità della vita anche
quando essa è una parvenza di vita. Per gli ergastolani la morte è
una grazia anche quando è comminata dallo Stato o è decisa dalla
volontà di ciascuno alla resa, e la Chiesa deve avvertire
l’imperativo misericordioso di lasciare morire in pace chi è già
morto dentro.
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