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martedì 7 agosto 2018

La pena di morte


La pena di morte
Ci tocca tornare a parlare dei reietti dopo che il Papa ha deciso di riscrivere il catechismo affermando che “la pena di morte è inammissibile perché attenta all’inviolabilità e dignità della persona”. Il Vangelo, secondo la lettura intransigente del Papa che, per inciso, contraddice posizioni di diverso avviso di alcuni Padri della Chiesa, non consente all’uomo di violare la vita concedendogli solo la libertà di viverla, seppure con sofferenza, in obbedienza al volere divino. Che dire? Riesce difficile condividere una logica che non lascia spazio al libero arbitrio dell’uomo e non gli permette di ribellarsi al destino persino quando esso condanna al dolore. E tuttavia anche per chi si schiera dalla parte del Papa si impongono alcune riserve. Cosa significa infatti parlare di dignità della persona come fa il Papa limitandosi ad ammonire che la pena di morte attenta ad essa ma ignorando che la dignità reclama ragioni alle quali è la vita stessa ad attentare più che la morte? Che dignità è quella vissuta da chi vive in stato di costrizione senza prospettiva che questa condizione cessi se non con la morte? E’ la condizione degli ergastolani, dannati che muoiono ogni giorno vivendo una vita apparente, che trascinano le loro giornate scandite dal suono dei loro passi sempre uguali e sempre più stanchi, uomini murati vivi che cercano di dare un senso ad una esistenza senza più ragioni, diventati, dopo decenni di carcere duro, estranei a se stessi, avanzi dolenti dell’antico contesto, ossessionati dal pensiero onirico latente di quell’infido appuntamento estremo che è il suicidio, vittime di quella che Girard chiama “vendetta inutile”, frutto di una società in cui “il malvagio e il debole non possono cadere più in basso della peggiore bassezza che c’è anche in tutti noi…..perché, come una foglia non impallidisce senza la muta complicità di tutta la pianta, così il malvagio non potrà nuocere senza il tacito consenso di tutti noi” (Kahlil Gibran). Invocano la morte come una liberazione mentre guardano all’orizzonte infinito del fine pena mai. E’ un contesto nel quale la persona è privata della propria dignità dalla vita piuttosto che dalla morte. In queste condizioni la vita non merita di essere vissuta e la Chiesa non può restare sorda alla pietà limitandosi a proclamare il mantra della sacralità della vita anche quando essa è una parvenza di vita. Per gli ergastolani la morte è una grazia anche quando è comminata dallo Stato o è decisa dalla volontà di ciascuno alla resa, e la Chiesa deve avvertire l’imperativo misericordioso di lasciare morire in pace chi è già morto dentro.


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