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venerdì 18 maggio 2018

Libertà e uguaglianza


La Costituzione italiana all’articolo 1 recita: ”L’Italia è una repubblica democratica fondata sul lavoro” . La dizione risente di una impostazione ideologica che connota lo Stato in base all’identità di una parte sociale piuttosto che a quella dell’intero tessuto sociale. L’idea del lavoro come fondamento della democrazia assume in questo modo le sembianze di un discrimine che cozza contro il principio sancito proprio dalla Costituzione che all’articolo 3 recita: ”Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge”. Ed è una impostazione che si scontra con il pensiero liberale da sempre assertore del principio secondo cui un’autentica democrazia debba fondarsi sulla libertà senza disparità e senza limitazioni che non siano quelle previste dalla legge, principio solennemente proclamato già nel lontano 1789 nella “Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino” che è il testamento della nostra civiltà moderna e che all’articolo 2 pone in testa all’elenco dei diritti fondamentali, appunto, la libertà. Libertà e uguaglianza sono dunque i due principi in base ai quali tutti i cittadini hanno la possibilità di esercitare i loro diritti in condizioni di parità, ma ciascuno in base alle proprie capacità, e di affrontare nel giusto modo le disuguaglianze che la natura, assai meno equanime della legge, decreta assegnando doti diverse e spesso diseguali. La libertà fa di queste disuguaglianze delle opportunità se lo Stato permette alla libera iniziativa di dispiegarsi, non imponendo dall’alto l’omologazione artificiosa di una uniformità che finisce per realizzare la più iniqua delle disuguaglianze, non opponendo alla creatività delle idee l’ineluttabilità della materia che relega gli elementi ideali nella soffitta della sovrastruttura (materialismo storico), non negando a nessuno il diritto di starsene alla finestra a guardare o invece di sprigionare i propri spiriti animali, l’estro, la fantasia, l’ingegno, di sfidare i rischi per proprio conto e produrre maggiori opportunità per gli altri. Il profitto di chi si mette in gioco reinvestito in attività produttive assume la funzione di propellente della crescita e dell’occupazione piuttosto che le sembianze della farina del diavolo, e il lavoro con le ricadute in termini di giustizia sociale si rende possibile non per decreto ma grazie al talento creativo legittimamente espresso che obbedisce alla propria vocazione e al contempo col suo dinamismo promuove i diritti dei meno dotati.  Allo Stato spetta il compito di vigilare affinché le diversità non diventino privilegi  gratuiti, non si creino sacche di impunità e caste voraci, il profitto non diventi selvaggio, e di esercitare la giusta rappresentanza delle istanze dei cittadini come si conviene ad una autentica democrazia. La democrazia liberale, è bene ricordarlo, ha reso possibili le conquiste di cui godiamo ed è un patrimonio prezioso da tutelare contro le tentazioni qualunquistiche di quanti scrivono libri dei sogni facendo promesse impossibili da realizzare. Il pragmatismo che ha preso per mano il liberalismo contemporaneo e lo ha accompagnato verso la realizzazione di un riformismo sociale sostenibile, è uno strumento che non possiamo mandare in soffitta.


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