A quanto pare il Brasile è un Paese alla mercé di un regime
che affida l’amministrazione della giustizia a tribunali speciali. Non ce ne
eravamo resi conto fino a quando non hanno provveduto ad aprirci gli occhi i
santoni della sinistra italiana i quali hanno firmato un manifesto con cui
decretano l’innocenza di Lula e accusano i magistrati brasiliani di avere
emesso una sentenza di colpevolezza non fondata, con lo scopo di cambiare le sorti delle prossime elezioni
politiche in Brasile. Una magistratura deviata dunque al servizio di non meglio precisati interessi occulti. Lula
a sua volta ha messo in discussione la legge, quella stessa legge di cui era
garante quando era presidente del Brasile, ponendosi al di sopra di essa con la
sua decisione di sottrarsi alla pena e col sostegno dei suoi seguaci che
assieme a lui si sono barricati nella sede del sindacato e hanno sospeso per
parecchi giorni l’esecuzione della condanna. Quando finalmente ha deciso di
consegnarsi alla giustizia, ha posto come condizione che il trasferimento in
carcere avvenisse con un aereo privato e la detenzione fosse scontata in una
prigione dorata. Tutto questo non ha scandalizzato i nostri campioni della
democrazia che anzi, mentre ieri osannavano le sentenze che in Italia condannavano
alcuni protagonisti della vita politica di parte avversa e insorgevano contro
le accuse di partigianeria lanciate ai nostri magistrati, oggi non hanno lo
stesso rispetto nei confronti di una sentenza della magistratura brasiliana della
cui reputazione, evidentemente, non hanno grande considerazione. E’ una
questione di quarti di nobiltà, la magistratura italiana ha i quarti giusti e
merita di salire sugli scudi poiché colpisce nella direzione gradita agli
illuminati di casa nostra, quella brasiliana invece, poiché si permette di
colpire un unto della sinistra come Lula, merita di essere trattata alla
stregua di una banda di malfattori dedita a disegni criminosi. E’ la logica dei
nostri disinvolti moralisti, indulgenti con gli amici e severi con i nemici,
inossidabili nella loro presunzione di un’etica superiore che poggia su
categorie ideologiche.
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