Commentando
l’esito delle recenti elezioni comunali a Palermo, il sindaco ci ha informati
che, con la sua vittoria, il civismo ha fatto ingresso nella politica
palermitana. Era ora, finalmente, dopo decenni durante i quali il prof. Orlando
ha dominato la scena, il grande assente, il civismo politico, si è
materializzato per merito dei voti confluiti su di lui. Non solo, ma, a suo
dire, questi voti hanno evitato il rischio della palude alla quale eravamo destinati
se avessero prevalso i voti di segno contrario. Sospiriamo sollevati apprendendo
che l’abbiamo scampata bella, che, grazie ai voti buoni, abbiamo scongiurato il
pericolo della mafia, del malaffare e di quant’altro la palude ci avrebbe
portato in dote in caso di vittoria degli altri voti, quelli cattivi, espressi
a favore dei delinquenti che affollavano le liste avverse a quelle del professore,
l’unico candidato degli onesti. Le categorie alle quali si ispira il nostro
sindaco per rivendicare a se stesso l’esclusiva del civismo politico con
implicita scomunica dei voti andati agli avversari, sono un mistero che resta
nella mente di Giove, mentre invece non è un mistero che il peccato originale
dei tanti che, prima della conversione sulla via di Damasco, venivano considerati
dagli intransigenti sacerdoti della superiorità morale dei reietti, è stato
mondato dall’approdo alla chiesa dei santi.
Chi si è ostinato a rimanere nel peccato appartiene alla palude, i
convertiti invece sono la sostanza di una rinascita palingenetica grazie all’unzione
del capo dei santi, il mistico Orlando. Bisogna riconoscerlo, raramente ci è
accaduto di imbatterci in un personaggio così convinto della sua infallibilità
da stabilire, a suo insindacabile giudizio, che cosa è vero e che cosa è giusto, anche quando il vero
abita nell’anticamera del sospetto ed entrambi, vero e giusto, sono un insulto all’evidenza. Perché è evidente che buona parte dei supporter dell’ultima ora del nostro sindaco,
fino a quando non sono approdati alla sua corte, erano, secondo i canoni della
verità e del giusto a lui cari, degli indegni che avevano deturpato la città
negli anni infelici dell’amministrazione Cammarata. Perché è evidente che la
natura degli indegni non è stata mondata dal miracolo della conversione alla
moralità ma dalla conversione al calcolo, perché lo stesso signor sindaco non è
un santo e qualcosa da farsi perdonare ce l’ha, eppure continua
imperterrito a maramaldeggiare col suo
manicheismo morale che pretende di disegnare una specie di croce di Adenauer ponendo da un lato tutto il male rappresentato
dai suoi avversari e dall’altra tutto il bene rappresentato dalla sua santità.
I santi, signor sindaco, li lasci in paradiso, lei scenda sulla terra, si vesta
dei panni dell’umiltà e soprattutto nella vittoria dimostri stile, quella
classe che a un signore come lei, nato da cotanti lombi, non dovrebbe fare
difetto, quella compostezza che è la dote dei grandi che non si fanno illusioni
e non prendono sul serio per primi se stessi. Abbiamo l’impressione invece che
lei si prenda troppo sul serio e rischi di coltivare il mito di sé, equivocando
sul successo che le arride da tanti anni. I palermitani, a parte gli
irriducibili accucciati adoranti all’ombra del suo carisma, continuano a
votarlo con tutti i dubbi di questo mondo, perché ritengono che l’alternativa a
lei non offra di meglio, perché hanno preferito votare il meno peggio e soprattutto hanno eletto un
sindaco, non un caudillo
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