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venerdì 5 maggio 2017

Un popolo in marcia verso il disastro


Meritiamo tutto il peggio che ci sta accadendo, perché siamo la mala pianta da cui esso nasce. Per averne conferma, basta percorrere alcune tappe di un viaggio fra i nostri vizi:

la signora dall’aria distinta attraversa con il rosso e al  vecchietto che con fare preoccupato le fa notare l’infrazione temendo che la distratta gentildonna possa essere arrotata,  risponde: “Si faccia i cazzi suoi”;

satanassi impazziti a bordo di bolidi rombanti piombano sulle strisce pedonali trasformandole in trappole mortali e in più sul povero pedone che ha evitato a stento di essere travolto e accenna a una timida protesta riversano una bordata di male parole;

automobilisti frustrati nel traffico caotico delle ore di punta si producono in gincane folli, azzannano l’asfalto, sgommano senza via d’uscita, sollecitano a suon di clacson chi li precede e infine sfogano la loro rabbia ringhiando con fare minaccioso contro i malcapitati che non riescono a superare;

imperturbabili campioni del bon ton scaracchiano per le strade, coprono i marciapiedi di cartacce, incedono impettiti con al guinzaglio deliziosi compagni a quattro zampe, li osservano amorevolmente mentre espletano i loro bisogni e imperterriti proseguono la loro passerella senza curarsi di raccogliere gli escrementi dei loro amorini, che restano a terra per la delizia dei pedoni che seguono;

la signora carica di pacchetti giunge trafelata dopo averci costretti a restare intrappolati per un buon quarto d’ora dietro la sua vettura parcheggiata in seconda fila e ci gratifica con un perfido sorriso  allargando le braccia e cinguettando che ha dovuto effettuare degli acquisti improrogabili. E ci è anche andata bene, perché può anche accadere di imbatterci nell’energumeno incazzato che ci manda a quel paese se abbiamo l’ardire di protestare;

i bravi cittadini imprecano contro i politici, la loro corruttela e la loro inefficienza, millantando la propria superiorità morale ma vantandosi allo stesso tempo di come sono stati furbi a trovare la raccomandazione giusta per assicurarsi un comodo impiego pubblico. Lamentano che i  governanti hanno compromesso il futuro dei nostri figli con scelte demenziali, fingendo di ignorare che queste scelte sono state il frutto di una stagione folle in cui abbiamo sperperato quello che non avevamo sotto la spinta di un consociativismo che partiva dal basso e assicurava il benessere di noi genitori a spese del malessere delle generazioni future;

sempre i soliti cittadini insorgono contro il dominio delle lobby in un Paese in cui da sempre ci siamo fronteggiati per bande schierandoci con caste e camarille a secondo del censo e della convenienza, e ancora adesso troviamo rifugio nelle consociazioni che garantiscono i nostri interessi;

i professionisti della lotta alla mafia imperversano ostentando un impegno di facciata ed esibendo un  giacobinismo che non fa sconti a nessuno se non alla propria parte e così costruendo carriere altrimenti impensabili. E’ il  festival dell’inganno che può avere luogo perché siamo tutti un po’ mafiosi, con la nostra  antimafiosità spregiudicata, con la nostra indulgenza verso gli inciuci, la nostra militanza nelle zone grigie conniventi, la nostra tendenza a evadere tutto il lecito possibile, il nostro senso di giustizia declinato secondo l’interesse di ciascuno, con la nostra verbosità legalitaria contraddetta da condotte borderline;

può accadere, è accaduto, che taluni nostri magistrati confondano il peccato col reato, la vendetta con la giustizia e comminino le pene obbedendo al pregiudizio anziché alla legge. Può accadere in un Paese in cui i diritti fondamentali dei cittadini stanno diventando sempre più una opzione;

viviamo il male col pessimismo di Gomorra piuttosto che con la speranza del riscatto perché ci piace piangerci addosso.

Siamo un popolo di cialtroni dedito all’antico vizio di  fottere e piangere, ci lamentiamo di chi ci rappresenta non avendo l’onestà di  riconoscere che essi sono lo specchio dei nostri vizi, ci lagniamo dei nostri difetti come se fossero difetti di altri ma non facciamo nulla per emendarli, anzi ci mettiamo di traverso se appena si profila la prospettiva di un cambiamento dello status quo che metta a rischio i nostri interessi consociativi. Abbiamo quello che ci meritiamo ma non demordiamo, come lo scorpione della favola di Esopo, andiamo fatalmente incontro al nostro destino vittime della nostra natura irredimibile

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