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mercoledì 8 marzo 2017

Il libero arbitrio


Le sacre scritture ci dicono che il destino dell’uomo è segnato fin dall’origine, fin da quando egli ha disobbedito a Dio, è stato cacciato dal paradiso terrestre accompagnato da un terribile anatema e ha iniziato il suo cammino infame macchiandosi di un fratricidio. L’uomo creato da Dio dunque parrebbe la testimonianza di una sorte irrimediabilmente segnata dal male. Sulla natura e sull’origine del male si sono interrogati tanti pensatori e Sant’Agostino fra essi ci ha spiegato che l’uomo indirizza il proprio libero arbitrio vero il bene o verso il male a seconda che possieda o no la grazia che è una concessione divina e non può essere conquistata con le opere. Secondo il santo d’Ippona dunque l’uomo è un predestinato alla salvezza o alla dannazione in virtù del suo destino più che delle sue condotte e della sua volontà che è una volontà predeterminata. E’ difficile essere d’accordo con Agostino considerando che Gesù è venuto a dirci il contrario fornendoci un esempio di  vita la cui condotta ha fatto la differenza giungendo fino alle estreme conseguenze. La sua sofferenza e il suo sacrificio sono state le opere che hanno indicato all’uomo la via per riscattarsi dalla sua natura malvagia. L’uomo nuovo in possesso del libero arbitrio e capace di imprimere ad esso un indirizzo di salvezza con lo strumento delle opere, è il protagonista del testamento di speranza lasciatoci da Gesù. Dopo di lui l’uomo sa che, se vuole, sul suo esempio, può perseguire il bene, e questo messaggio, perpetuatosi nei secoli, ha incrociato lungo il suo percorso un altro messaggio rivoluzionario, quello dei lumi. Da questo incontro, pur da sponde opposte, dalle sponde del dogmatismo religioso e della laicissima ragione, è nata una sintesi che ha reso il sacro meno intransigente e la ragione una ragione d’amore che ha ribadito la dignità dell’uomo e la centralità dell’individuo. Il dolore dell’uomo ha continuato a scandire giornate di lutto per lo spirito e il fisico, la sofferenza continua a perpetuarsi offrendoci lo spettacolo di vite disseminate ai margini delle strade come scarti della società, di stracci privi di valore  racchiusi nelle carceri senza speranza di un loro riscatto, dell’olocausto di Aleppo, dei migranti strappati alle loro case, della solitudine degli anziani, di una povertà economica sempre più diffusa e con essa di un arretramento della dignità, degli ammalati di Sla ridotti a vegetali sofferenti, ma una ragione nuova è nata e si batte con le armi della pietà e della buona causa. Il viaggio nella sofferenza è anche un viaggio dello spirito che nessuna sofferenza dovrà mai spegnere. Qualcuno ha detto che, credenti o non credenti, non possiamo non dirci cristiani e proprio la misericordia del cristianesimo, oltre alle ragioni della ragione, fornisce una nuova chiave di lettura del nostro approccio con il destino, una lettura che rivoluziona l’ideologia intransigente della sacralità della vita. In verità sacro è l’uomo che deve poter vivere una condizione dignitosa, deve poter contemplare le stelle nella pienezza del suo spirito. Quando la sorte ci aggredisce con un male terribile come la Sla, quando la vita diventa intollerabile, quando la sofferenza rischia di spegnere lo spirito oltre al fisico, non abbiamo forse il diritto di consegnare il nostro spirito ancora integro alla trascendenza? Lo stesso Gesù non va incontro alla morte considerandola il corollario del Suo progetto? Un alto prelato sostiene che l’eutanasia o il suicidio assistito nascondono un messaggio deleterio, un messaggio secondo cui la società trova comodo liberarsi delle vite non degne di essere vissute omettendo di sostenerle e scaricandole in una “sacca di scarto”. Non credo che la società sia talmente cinica da omettere il sacrosanto impegno di sostenere vite umane, ma nessuno può pretendere che essa si arroghi il diritto di impadronirsi di vite che appartengono solo a coloro che le hanno ricevute in dono e devono poterne disporre come ritengono, rifiutandosi di relegare lo “scarto” che di quelle vite è rimasto in una “sacca” di inutile sofferenza. Spesso andiamo incontro alla morte per motivi banali, a maggior ragione vale la pena di andare incontro ad essa quando i motivi sono degni.

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