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martedì 14 marzo 2017

Il clochard


Siamo impegnati a strapparci le vesti piangendo la sorte di un clochard bruciato vivo e ci interroghiamo con tardiva angoscia come sia potuta accadere una simile tragedia. Tanta ferocia risulta incomprensibile a chi non ha dovuto fare i conti con la spietatezza della vita riservata agli ultimi. Pare che vittima e carnefice appartenessero allo stesso contesto di emarginazione e riesce difficile pronunciare un giudizio che non abbia pietà anche per il carnefice. Caino ha il volto inespressivo di chi non sembra rendersi conto dell’enormità del suo gesto, ha la connotazione di chi non è attraversato da nessun sussulto etico, è un uomo non uomo che sembra non avere mai coltivato la consapevolezza di certi valori, un relitto né più né meno della sua vittima. Vittima e carnefice sono i frutti infelici di una società che ha permesso il verificarsi di una tragedia senza disinnescarla prima che deflagrasse. Quando ci strappiamo le vesti e recitiamo la pantomina dell’indignazione di circostanza, rimuoviamo le nostre colpe, dimentichiamo l’indifferenza con cui ignoriamo i mali del mondo, facciamo finta di non sapere, o forse non lo sappiamo in buona fede perché abbiamo perduto la capacità di percepire il disagio altrui, che noi siamo i veri artefici delle tragedie che si consumano quotidianamente tra le pieghe della nostra società mentre ci giriamo dall’altra parte. In parecchi si sono proposti per fare giustizia sommaria dell’assassino. Dov’erano costoro mentre maturava la tragedia e saranno ancora così inflessibili quando qualcuno, alzando l’asticella dell’intransigenza, farà giustizia sommaria dei loro diritti?

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