Lo tsunami grillino che si appresta a investire l’Italia è
al centro di dibattiti che tentano di spiegarne lo spirito e prefigurare le
conseguenze che ne deriveranno. Indubbiamente lo spirito è quello giusto, esso riflette
la rabbia dei tanti che si sono sentiti traditi dalla vecchia politica e
vogliono imprimere un nuovo corso ad una politica diversa all’insegna
dell’onestà. Ecco, appunto, l’onestà. E’ il mantra che accompagna le
esternazioni dei penta stellati che, in nome di essa, si inerpicano per
sentieri non sempre praticabili. Qualcuno ha detto che la politica è “sangue e
merda”, terreno di scontro spietato in cui spesso l’onestà perde la bussola e
precipita in una specie di eterogenesi dei fini, predicando le migliori
intenzioni e ottenendo i peggiori risultati. Ma essa è pur sempre il luogo dove
può avvenire che la democrazia con la sua onestà imperfetta realizzi il miglior
risultato possibile contro l’inconcludenza di quanti salgono in cattedra e
pontificano di etica fine a se stessa all’insegna di una iconografia del mito
duro e puro che prescinde dai risultati. Quando i grillini proclamano che non
accettano alleanze con nessuno in nome di una purezza che non si lascia
inquinare, cadono nel vizietto che contraddistingue una certa parte politica
che combattono e che si è intestata l’esclusiva della superiorità morale. Con
quali risultati, si è visto. Non credo che coloro i quali votano Cinque Stelle,
pur invocando l’onestà, chiedano
l’ordalia di una purezza vuota di contenuti. Alle prese col problema di come mettere
insieme il pranzo con la cena, essi pretendono risposte che li aiutino a
scacciare lo spettro di una povertà sempre più incombente. Giocare a fare i
moralisti rinunciando a scendere sul terreno dei compromessi leciti e delle legittime
mediazioni della politica in nome di una intransigenza ideologica e morale che
considera scellerato anche il patto più onesto, vellicare i peggiori istinti
della pancia e manipolare coscienze fragili senza proporre alcun programma o
proponendo programmi improbabili ad uso di un popolo di creduloni, tuonare
agitando progetti ambiziosi senza indicare le risorse per realizzarli, significa
fare della demagogia offrendo suggestioni anziché progetti realizzabili, significa
tradire le attese della gente. Stiamo vivendo tempi drammatici in cui non ci
possiamo permettere il lusso di apprendisti stregoni che, oltretutto,
farneticano di democrazia diretta. La pretesa dei grillini di eliminare i
partiti considerati luogo di corruzione anziché luogo di dibattito e sintesi, e
di abolire la democrazia rappresentativa a favore di una utopica democrazia
diretta, obbedisce al disegno (con quali conseguenze è facile immaginare) di un
uomo solo al comando il quale, lo vediamo già adesso, decide quali sono le
regole della democrazia confondendole con le regole del suo inappellabile
arbitrio e dispensa ai suoi seguaci il verbo della beata ignoranza, del credo
di ciascuno (uno vale uno) contro il merito e persino contro le conquiste della
scienza, sulla scia di un certo Rousseau teorico del buon selvaggio immune
dalla corruzione della conoscenza e di un collettivismo in cui la volontà
generale si traduce nella volontà di pochi. La storia del Novecento è lì ad
ammonirci sui guasti che ne sono derivati.
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