Ho partecipato alla presentazione di un
libro e ho ascoltato l’introduzione dell’autore. Lo conoscevo per
averlo letto e apprezzato nella sua veste di giornalista che sa
stare, come si suole dire, sul pezzo e, ascoltandolo nella veste di
romanziere, ho avuto la conferma della sua onestà intellettuale. E
uno che non si nasconde dietro un dito e ha il coraggio di fare le
pulci anche in casa sua senza fisime da casta. E’ inoltre un
profondo conoscitore del fenomeno mafioso ma ne parla con laica
cautela mettendo in guardia contro le facili semplificazioni di chi
ricorre a stereotipi scontati mettendo tutto il bene da una parte e
tutto il male dall’altra. Parla di un fenomeno complesso che va
analizzato passando attraverso l’esame di quella che egli chiama
cultura mafiosa annidata nelle pieghe della zona grigia che indulge a
un certo fascino perverso. Giustamente sostiene che, se la mafia si
limitasse solo ad una accolita di criminali priva di ancoraggi con la
cultura diffusa che la sostiene, sarebbe già stata sconfitta da
tempo, e si rammarica perché ad essa si oppone un’antimafia di
maniera che si produce, con i suoi tic giustizialisti, in linciaggi
di piazza appollaiandosi su rendite di posizione. Lamenta il
pressapochismo di certi suoi colleghi che sposano comode verità
senza preoccuparsi se reputazioni più o meno innocenti vengono
sporcate a causa di quella che qualcuno, non ricordo chi, ha definito
macelleria mediatica. Denuncia inoltre il lassismo delle istituzioni
che, negando una carcerazione dignitosa a chi è in carcere e non
offrendo chances a chi esce dal carcere e ha bisogno di essere
aiutato a non ricadere nella recidiva, vanificano ogni tentativo di
recupero. Parafrasando Brecht, si rammarica del fatto che la nostra
democrazia abbia bisogno di misure d’emergenza crudeli quali il 41
bis. Lamenta l’incapacità della cosiddetta società civile di
cogliere certe sensibilità sincere che provengono da quel mondo
terribile e complesso. Competente e onesto non è però
consequenziale. Perché se è vero ( ed è vero ), come egli
sostiene, che da quel mondo arrivano dei segnali, arriva l’eco del
travaglio di coscienze confuse che si interrogano sulle proprie colpe
e danno voce a testimonianze di un percorso pieno di insidie che
aspira alla redenzione, che descrivono come possono un contesto
drammatico e sbirciano nella speranza di stringere una mano che si
protenda verso di esse, è altrettanto vero che il nostro onesto e
sensibile giornalista ( sia detto senza ironia ) non ha mai provato a
tendere quella mano.
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