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domenica 28 agosto 2016

Il terremoto

Le vittime del terremoto, quelle che hanno perduto la vita e quelle che in vita sono rimaste ma sono alle prese col dolore e con la costernazione di una esistenza devastata, sono costrette a subire l’oltraggio di una retorica melensa con cui certa stampa declina la loro sofferenza e dei soliti proclami con cui si esibiscono i politici. I soli che obbediscono a un minimo di sobrietà sono i volontari i quali, silenziosi e pieni di abnegazione, ci dimostrano di che pasta è fatta una certa Italia quando è chiamata a gesti di solidarietà. Purtroppo l’esperienza passata non ci dà molte speranze che le promesse di affrontare e risolvere gli enormi problemi delle popolazioni terremotate siano rispettate. Si è visto cosa è successo a L’Aquila, nel Belice e in altre zone in cui la terra ha tremato e non c’è motivo di essere ottimisti in questa circostanza. Bravi ad affrontare l’emergenza, siamo invece incapaci di affrontare il problema della ricostruzione laddove occorre progettualità, trasparenza, efficienza, fantasia e quant’altro serve a realizzare fondamenta solide che non si sbriciolino al primo appuntamento con l’ulteriore terremoto. Per prima cosa ci dobbiamo dotare di una legislazione che vincoli le costruzioni a regole ben precise e preveda sanzioni severe nel caso in cui esse non siano rispettate, e ci dobbiamo impegnare a ricostruire le case esattamente dove sono state distrutte perché è lì che sono state seppellite le storie di tanta gente ed è lì che bisogna farle rinascere. E poi occorre porre mano ad un nuovo approccio nella cura delle nostre opere d’arte. Siamo un Paese ad alto rischio sismico e quando dobbiamo fare i conti col terremoto di turno, in ballo non ci sono solo vite umane e beni privati che, cancellati dal sisma, rischiano di mettere in ginocchio l’economia della zona, in ballo ci sono opere d’arte che appartengono all’umanità e che abbiamo il dovere di tutelare. Lo dobbiamo al mondo intero ma lo dobbiamo soprattutto a noi stessi, alle infinite opportunità e alle ricadute positive che questo patrimonio ci offre. In un Paese normale le vestigia antiche disseminate su tutto il territorio dovrebbero costituire la prima industria con cui risolvere problemi annosi di disoccupazione e di sviluppo. Si pensi a cosa significherebbe per tutti una maggiore cura delle innumerevoli opere d’arte che possediamo e di cui non abbiamo rispetto né contezza, quali opportunità di lavoro procurerebbero a maestranze, artisti, restauratori, imprenditori edili, il ripristino e la messa in sicurezza di opere esposte agli accanimenti del tempo e della natura e di quelle seppellite nei nostri scantinati che finora non hanno visto la luce, una maggiore cura dei siti archeologici, una maggiore promozione dell’immensa ricchezza che abbiamo e che dovrebbe farci attestare al primo posto assoluto nel circuito turistico mondiale. Questo disastro ci offre l’occasione di voltare pagina, e voltare pagina significa correre in soccorso delle popolazioni disastrate con un impegno più concreto delle solite parole al vento, ma significa anche correre in soccorso di tutti i beni di interesse pubblico, fare un censimento di essi, monitorarne le condizioni, restituirli allo splendore che meritano, amarli e proteggerli avendo cura che non vadano in pezzi al primo tremore della terra, aprire cantieri pulsanti di vita. Sarebbe il modo migliore per soccorrere l’economia collassata delle zone colpite dai terremoti in ogni angolo d’Italia e per dare risposte ai tanti in cerca di lavoro, e sarebbe soprattutto il modo migliore per onorare i nostri morti. Da qualche parte ho letto che una operazione così massiccia non è fattibile con le risorse finanziarie di cui dispone l’Italia e che essa può essere resa possibile solo nell’ambito di una cooperazione europea che dovrebbe contribuire in termini finanziari e chiudere un occhio sul nostro debito pubblico. Da ogni angolo dell’Europa ci son giunte attestazioni di solidarietà e belle parole, parole che ci commuovono e aprono il cuore alla speranza ma che non devono restare vuoti esercizi retorici, i nostri governanti facciano si che esse si traducano in fatti, vadano a Bruxelles non col cappello in mano come dei questuanti ma con la forza di un progetto credibile, sbattano i pugni se necessario, ricordino che l’arte italiana è l’arte dell’Europa e pretendano che essa si comporti da patria comune. L'Europa ci chiede di crescere, bene, il terremoto può essere l’occasione per sperimentare una sorta di terapia della crescita, ed è anche l'occasione per dimostrare che oltre a quella dei volontari esiste un’altra Italia degna dei nostri morti.

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