Abbiamo festeggiato i 70 anni della
Repubblica e tanto per cambiare non ci siamo fatti mancare la solita
sbornia di luoghi comuni. Fra essi la vulgata politicamente corretta
e universalmente accettata secondo cui i politici della prima
repubblica sono stati dei giganti ai quali va il merito delle nostre
magnifiche sorti e progressive. Nessuno può negare che i
protagonisti della prima stagione repubblicana sono stati i
progenitori di importanti riforme che hanno modificato
definitivamente la società italiana proiettandola in un futuro al
passo con il resto del mondo, la riforma agraria, per esempio, che
eliminò i latifondi, la scuola media unica, il servizio sanitario
nazionale, l’accesso delle donne alla magistratura, ma non è il
caso di parlare di giganti ignorando errori che non possono essere
perdonati e dimenticando che questi giganti hanno reso l’Italia
quella che è, un Paese in cui il presente versa in condizioni
drammatiche e il futuro è un punto interrogativo senza tante
speranze. Tutto parte da allora, dagli anni in cui i nostri giganti,
ispirati, nel migliore dei casi, da velleitarie ideologie keinesiane
e dall’utopia demenziale di una economia pilotata, in cui tutto,
specie quello che non si può, è dovuto, hanno sperperato il mitico
miracolo economico frutto dello sforzo di un popolo che liberò le
sue energie migliori. Hanno varato un welfare che non ci potevamo
permettere saccheggiando risorse che non avevamo, hanno vestito lo
Stato dei panni dell’imprenditore, lo hanno fatto indebitare e
hanno fottuto il futuro dei nostri figli. E già che c’erano,
all’ombra di un consociativismo sottobanco che di fatto azzerava la
dialettica politica e dunque la democrazia, si sono spartiti ciò che
restava. Solo vent’anni fa, quando il danno era ormai fatto, lo
Stato allentò la sua presa sull’economia liquidando l’IRI,
settima al mondo per fatturato e prima per perdite. Ma è stata solo
una goccia in un mare che ha continuato ad essere tragicamente
pubblico e in cui squali e boiardi, tutti assieme appassionatamente,
hanno pescato e continuano a pescare di frodo accelerando il disastro
che è sotto gli occhi di tutti. Siamo prigionieri di un debito che
impedisce nuovi investimenti e il riavvio della ripresa, con la
conseguenza di una povertà sempre più diffusa e una forbice sempre
più larga tra eccessivamente ricchi ed eccessivamente poveri. Basta
allungare lo sguardo nelle periferie disastrate delle nostre città
per assistere al dramma dei nostri figli, 1 milione di minori, che
vivono in povertà assoluta scendendo sempre più in basso verso il
degrado morale e sociale. Mancano di cibo, di vestiti, di giochi, di
vacanze, abbandonano anzitempo la scuola, sono destinati a cadere
nella rete della criminalità. Ed è sotto gli occhi di tutti il
dramma dei nuovi poveri che ogni anno sempre più numerosi, oggi sono
5 milioni, rovinano sotto la soglia della sopravvivenza e sono
costretti a dormire avendo come tetto le stelle e ad accomodarsi
presso la Caritas per un pasto. Per avere un’idea di questa realtà
prego accomodarsi al seguito delle associazioni di volontariato
impegnate nelle ronde notturne negli angoli più bui delle nostre
città alla ricerca di anime perdute. Per non parlare dei nostri
giovani che si piazzano al terzultimo posto nella classifica dei
disoccupati in Europa, appena davanti a Slovacchia e Grecia, e sono
afflitti da una tendenza sempre maggiore all’inattività, frutto
della mancanza di prospettive e della rassegnazione. Non cercano più
un lavoro perché hanno esaurito infruttuosamente tutti i tentativi,
vivacchiano grazie al welfare familiare, sono la testimonianza di una
resa che chiama in causa responsabilità antiche e recenti.
Diciamolo, c’è poco da festeggiare e il senso della misura
dovrebbe suggerire al nostro premier di evitare i toni trionfalistici
con cui ci rifila la favola di un’Italia avviata verso un futuro
migliore (forse si riferisce all’Italia dei parlamentari e dei
commis di Stato che ricevono gli stipendi e i vitalizi più alti
d’Europa), quando invece è noto a tutti che siamo avvitati in un
triplo salto mortale senza rete che rischia di farci precipitare
nelle stesse condizioni della Grecia. Con la produttività cresciuta
dal 2000 ad oggi di appena l’1% contro il 17% medio degli altri
partners europeo e con la prospettiva che questo trend non muti, dove
vogliamo arrivare? Ma non finisce qui. C’è poi l’ipocrisia del
rischio millantato piuttosto che reale. Anche lì tentano di darcela
a bere. L’antimafia di facciata ci fornisce continuamente esempi di
facce toste impegnate a lucrare credibilità, prebende, carriere e
scorte, lasciando credere che la loro vita è a rischio solo perché
hanno cercato una visibilità strumentale senza dare un autentico
contributo alla lotta contro la mafia. I rischi in verità li corrono
solo i cittadini costretti a sobbarcarsi i costi di eroi di cartone
che hanno fiutato l’eldorado. Enfatizziamo i pericoli della
criminalità organizzata (che, sia chiaro, non devono essere
sottovalutati) e fingiamo di ignorare che i maggiori pericoli nascono
da una classe politica inetta e corrotta che soddisfa appetiti
clientelari e gli interessi affaristici dei gruppi di riferimento
senza peraltro, in contropartita ad un costo così elevato, riuscire
a far funzionare in maniera accettabile la macchina dello Stato,
nascono da poteri forti che menano la danza e sono dietro ai più
inquietanti misteri mai risolti, collusi, essi si, con la mafia o
con quello che di essa è rimasto, una tragica parodia di se stessa
che si è illusa di fare il salto di qualità e si è votata alla
disfatta prestandosi a fungere da utile idiota al servizio di disegni
di cui non aveva consapevolezza, nascono dai privilegi delle caste
che erodono le risorse della collettività, da un fisco vorace e
ingiusto, da lobby che imperversano indirizzando le leggi verso gli
interessi che hanno in cura, dalla progressiva polverizzazione della
media borghesia e con essa della spina dorsale del tessuto sociale,
dalla rinuncia della gente ad amare il proprio Paese. E’ l’epica
cialtrona di un popolo che non ha più ideali né speranze, è lo
spaccato di un Paese che inganna continuamente se stesso millantando
virtù che non possiede, che mette in scena festeggiamenti solenni
nell’anniversario della nascita della Repubblica che amiamo ma che
abbiamo tradita mancando l’impegno contratto con essa, ed esibisce
tra le fila delle autorità in parata, in occasione del 2 giugno,
sepolcri imbiancati che fanno pernacchie ad un popolo che non
rappresentano.
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