Una certa Italia conformista e ipocrita
che nega l’evidenza e sembra non avvertire il senso del ridicolo,
ama gingillarsi col pacifismo ad oltranza a dispetto dei pericoli che
incombono ai nostri confini. I latini, che qualcosa avevano capito di
come va la vita, solevano ammonire: “Si vis pacem, para bellum” e
non potevano immaginare che i loro discendenti ribaltassero un
concetto così lapalissiano pretendendo di combattere contro le
avanguardie dell’Isis alle porte di Lampedusa a suon di slogan
buonisti. I sacerdoti dell’imbecillità autolesionistica che
gridano allo scandalo, riescono ad essere combattivi solo quando c’è
da aggredire un inerme cattedratico, il professore Panebianco, per
avere egli espresso il suo punto di vista sulla demenziale tendenza
tutta italiana a rimuovere il concetto di guerra dal nostro scenario
mentale e linguistico, quando tutti sappiamo che la guerra è una
maledetta costante sempre in agguato data la natura hobbesiana
dell’uomo, ed è combattuta in ogni angolo della terra
continuamente. Preparare la guerra, parlarne come di una eventualità
sciagurata da scongiurare con ogni mezzo ma che a volte è
inevitabile, non significa essere guerrafondai ma attenti alla
propria sicurezza. E poi il modo. Possiamo anche dissentire e, in
preda a un masochismo tafazziano, combattere utopiche battaglie di
retroguardia facendoci ridere appresso da chi non dimentica le nostre
passate ambiguità, ma il diritto a dire la nostra non ci autorizza a
tacciare di assassino chi non la pensa come noi. Il punto è che,
come giustamente sostiene Ernesto Galli della Loggia, in Italia manca
la capacità di dibattere civilmente e costruttivamente. Abituati
alle risse dei talk show in cui il buon senso è quasi sempre
latitante, in cui è legittimato il trionfo delle ovvietà e viene
demonizzato chi osa dissentire dal politicamente corretto, non
riusciamo non solo a venir fuori dalla omologazione del nostro modo
di pensare ma neanche a rispettare l’estetica dei nostri
comportamenti, come accade quando pretendiamo di imporre le verità
preconfezionate dal pensiero dominante, di pontificare che tutto il
buono è dalla nostra parte e tutto il male dall’altra parte, di
individuare le categorie del male convenzionalmente stabilite e
ignorare i propri scheletri nell’armadio, ricorrendo alla violenza
non solo fisica ma morale. I risultati sono sotto gli occhi di tutti
ed hanno trovato degna espressione nelle contestazioni all’università
di Bologna.
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