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venerdì 4 marzo 2016

Il caso Panebianco

Una certa Italia conformista e ipocrita che nega l’evidenza e sembra non avvertire il senso del ridicolo, ama gingillarsi col pacifismo ad oltranza a dispetto dei pericoli che incombono ai nostri confini. I latini, che qualcosa avevano capito di come va la vita, solevano ammonire: “Si vis pacem, para bellum” e non potevano immaginare che i loro discendenti ribaltassero un concetto così lapalissiano pretendendo di combattere contro le avanguardie dell’Isis alle porte di Lampedusa a suon di slogan buonisti. I sacerdoti dell’imbecillità autolesionistica che gridano allo scandalo, riescono ad essere combattivi solo quando c’è da aggredire un inerme cattedratico, il professore Panebianco, per avere egli espresso il suo punto di vista sulla demenziale tendenza tutta italiana a rimuovere il concetto di guerra dal nostro scenario mentale e linguistico, quando tutti sappiamo che la guerra è una maledetta costante sempre in agguato data la natura hobbesiana dell’uomo, ed è combattuta in ogni angolo della terra continuamente. Preparare la guerra, parlarne come di una eventualità sciagurata da scongiurare con ogni mezzo ma che a volte è inevitabile, non significa essere guerrafondai ma attenti alla propria sicurezza. E poi il modo. Possiamo anche dissentire e, in preda a un masochismo tafazziano, combattere utopiche battaglie di retroguardia facendoci ridere appresso da chi non dimentica le nostre passate ambiguità, ma il diritto a dire la nostra non ci autorizza a tacciare di assassino chi non la pensa come noi. Il punto è che, come giustamente sostiene Ernesto Galli della Loggia, in Italia manca la capacità di dibattere civilmente e costruttivamente. Abituati alle risse dei talk show in cui il buon senso è quasi sempre latitante, in cui è legittimato il trionfo delle ovvietà e viene demonizzato chi osa dissentire dal politicamente corretto, non riusciamo non solo a venir fuori dalla omologazione del nostro modo di pensare ma neanche a rispettare l’estetica dei nostri comportamenti, come accade quando pretendiamo di imporre le verità preconfezionate dal pensiero dominante, di pontificare che tutto il buono è dalla nostra parte e tutto il male dall’altra parte, di individuare le categorie del male convenzionalmente stabilite e ignorare i propri scheletri nell’armadio, ricorrendo alla violenza non solo fisica ma morale. I risultati sono sotto gli occhi di tutti ed hanno trovato degna espressione nelle contestazioni all’università di Bologna.

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