Visualizzazioni totali

mercoledì 16 marzo 2016

Carmelo Musumeci, del 41-bis e dell’ergastolo ostativo


Sul Corriere della Sera di martedì, Pietro Ichino, a commento dei libri di Elvio Fassone “Fine pena: ora” e di Carmelo Musumeci, coautore assieme ad Andrea Pugiotto del libro “Gli ergastolani senza scampo”,  affronta il problema dell’ergastolo ostativo e della detenzione in regime di 41-bis, denunciando la contraddizione tra pene così dure e il recupero del reo. Finalmente una penna prestigiosa affronta due problemi che costituiscono un vulnus della nostra democrazia e che, con l’eccezione dei radicali, vengono ignorati dai nostri intellettuali o, quando affrontati, liquidati con l’alibi della sicurezza. Sono problemi di cui anche io in passato mi sono occupato tentando di sensibilizzare con alcuni post sul mio blog l’opinione pubblica ad un approccio più equanime nei confronti di essi. Risultato: mi sono guadagnato insulti e l’accusa di combattere una battaglia sospetta, visto che ho un figlio all’ergastolo in regime di 41-bis e io stesso sono un condannato per mafia. Ma non mi tiro indietro, so che cosa si nasconde dietro la parvenza di una crudeltà necessaria che spesso si traduce in una crudeltà gratuita. Nel mio romanzo, “La vita di un uomo”, che ha visto la luce recentemente, descrivo il mondo di dolore in carcere con la sua epica scellerata e le sue storie drammatiche fatte di abusi e di violenze, di abbrutimento maturato anche grazie alla inadeguatezza dello Stato. Dopo decenni di detenzione senza speranza cadenzati dallo spettro del “fine pena mai”, dopo un regime inumano quale è quello del 41-bis che trancia i rapporti con il resto dell’umanità, il detenuto convive solo col rumore dei propri passi, perde il senso della realtà vera e si rifugia nella realtà fittizia dei propri fantasmi, naviga in un mondo che costruisce a seconda dei mezzi di cui dispone, è un vegetale con la mente svuotata che arranca senza più alcun tratto della sua originaria identità e spesso giunge all’appuntamento col suo pensiero onirico latente, il suicidio. Altro che recupero. Sono dunque grato al professore Ichino per avere egli colto la necessità di ripensare in una chiave più garantista due problemi così drammatici, ma debbo dissentire da lui quando afferma che la detenzione in regime di 41-bis  non ha una funzione punitiva bensì risponde ad esigenze di sicurezza. Certo non si può fare a meno di ricordare da che cosa nasce l’esigenza del 41-bis, ed è giusto rilevare che le lastre di vetro che impediscono a moglie e figli di accarezzare il detenuto, non debbono far dimenticare le lastre di marmo che separano le vittime di mafia dai loro cari. Però, c’è un però. A parte la considerazione che nessuna esigenza di sicurezza può giustificare tanta disumanità e che lo Stato non può smentire se stesso tradendo il proprio ruolo di baluardo dei diritti fondamentali e di garante del rispetto della Costituzione, bisogna avere l’onestà di ammettere che spesso sull’attualità di questa esigenza si bara creando un allarme ingiustificato e con esso il pretesto per infliggere una detenzione punitiva. Nessuno può sostenere in buona fede che un detenuto, dopo decenni di carcere, dopo l’interruzione per tutti questi anni di qualsiasi contatto col mondo esterno, sia ancora lo stesso uomo di prima e costituisca ancora un pericolo per la società, specie considerando le condizioni ambientali mutate rispetto ai decenni precedenti che rendono improbabile il contatto del detenuto con una realtà ormai a lui estranea e inattuali le possibilità di reiterazione del reato. E allora bisogna avere l’onestà di riconoscere che l’ergastolo ostativo e il 41-bis applicato senza tener conto delle mutate esigenze, contraddicono il dettato costituzionale ed hanno una funzione punitiva, anzi vendicativa.

Nessun commento:

Posta un commento