Il male ha una delle sue componenti più
drammatiche nella ineluttabilità della miseria, una costante mai
sconfitta nella vita degli uomini. Quanto sta accadendo in questi
giorni, con la moltitudine di profughi che fuggono da condizioni di
vita invivibili e sono inghiottiti dal mare, narra l’epopea
miserabile di uomini che vivono sotto la soglia della dignità umana.
E’una condizione che purtroppo abbiamo imparato a conoscere anche
noi italiani incamminati ormai da anni, sempre più numerosi, verso
la povertà assoluta. Quando i figli di quella che è stata una
società opulenta, combattono la battaglia per sopravvivere cercando
di inventarsi espedienti che spesso vanno oltre il lecito e il
moralmente tollerabile e si dibattono tra le spire di una
disperazione senza via d’uscita abdicando all’amor proprio e al
rispetto di sé, in che cosa differiscono dagli ultimi del mondo? E
dove è la nostra cultura cristiana? Perché di questo bisogna
parlare, dobbiamo chiederci cioè se la stessa cultura cristiana non
sia stata sconfitta. Come scrisse Croce, non si può non essere
cristiani, perché quello che siamo è l’eredità di un messaggio
lanciato duemila anni fa da un pacifico rivoluzionario di nome Gesù. L’uomo che ha preso coscienza della propria dignità cancellando
l’istituto della schiavitù che prima di Cristo non costituiva
scandalo, la donna che si affranca dal gineceo e guadagna gli stessi
diritti dell’uomo, i vecchi e i malati non più abbandonati come
esseri inutili, i bambini non più alla mercé di un padre che nella
società contadina di un tempo poteva non accettarli e decidere di
disfarsene come di una inutile mercanzia, i diritti fondamentali
dell’uomo che hanno trovato solenne consacrazione in proclami e
convenzioni in tempi relativamente recenti, lo stesso concetto
d’amore considerato non solo come eros ma anche come agape, come
donazione di sé, sono il risultato della cultura cristiana di cui
l’Europa è stata permeata e che si è diffusa in tutto il mondo.
Questa immensa eredità rischia di essere rimessa in discussione.
Nietzsche, un nemico per eccellenza del cristianesimo, ha dovuto
riconoscere: “Tutto quanto soffre, tutto quanto è appeso alla
croce è divino…..e l’individuo non lo si poté più
sacrificare”. Ma oggi è ancora vero ciò o non è l’uomo
sacrificato tutte le volte che è lasciato alla crudeltà del mondo e
alla mercificazione della persona? E non parliamo solo dei migranti
che muoiono in mare, parliamo anche di quelli che riescono ad
approdare nelle nostre coste e si prestano alle attività più
mortificanti fornendo lo spettacolo di una umanità che ha rinunciato
alla propria identità e contende il primato del degrado ai
diseredati di casa nostra, in una gara di sofferenza ignorata da una
società sempre più secolare ed endogamica (giusto quanto temuto da
Claudio Magris) e abbracciata solo dall’abnegazione dei credenti in
nome di una vocazione alla condivisione del dolore altrui alla quale
li richiama il patibolo di Cristo. La loro fede però non può andare
oltre, sconfitta dalla dimensione di un esodo biblico e dalla deriva
di una economia asfittica che colpisce i più deboli e che la loro
generosità non è in grado di affrontare. E’così che, mentre
l’anima dei giusti, appagata dal suo spicchio di sofferenza, vola
verso una prospettiva di santità, la dignità dell’individuo non
riesce ad affrancarsi dalla morsa della miseria materiale e lo stato
dell’uomo ritorna alle condizioni anteriori alla venuta di Cristo.
E’ vero che, come sostiene la Chiesa, Cristo non è venuto a
civilizzarci ma a santificarci ma è anche vero che, secondo Arnold
Toynbee, “la democrazia è una pagina del Vangelo”. A Bruxelles
sembrano avere dimenticato il lascito del Vangelo dal quale sono
stati formati e, così come hanno abolito il crocifisso, hanno
rinnegato le loro origini, in una corsa ad un relativismo morale che
privilegia la logica miope e miserabile del piccolo interesse privato
e ignora l’ecatombe epocale di uomini con un volto e un cuore come
tutti, che parlano, mangiano, amano e hanno un loro discernimento
esattamente come qualsiasi altro uomo. Ma, quel che è peggio, non
hanno consapevolezza dell’ecatombe che ha falcidiato le loro
coscienze.
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