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lunedì 13 aprile 2015

Il reato di tortura

In questi giorni si parla tanto del reato di tortura. Come al solito il Parlamento italiano, affetto da inguaribile provincialismo, ha avuto bisogno di essere bacchettato dalla Corte di Strasburgo, per precipitarsi ad approvare la legge che riconosce il reato di tortura nel nostro codice penale. I nostri governanti dalla faccia di bronzo, incalzati dall’Europa, hanno fatto a gara a chi proclamava con toni più o meno scandalizzati la loro costernazione a distanza di anni da quando si è consumata la violenza contro i giovani della scuola Diaz. Meglio tardi che mai, ma tant’è, questo passa il convento e questo dobbiamo prenderci. Siate certi però che, anche stavolta, all’insegna delle belle parole, il vitto del convento gabberà lo santo. Tanto per essere chiari, mi riferisco al pericolo dell’ennesimo raggiro ai danni dei soliti noti con i quali si può tranquillamente barare perché sono figli di nessuno e su di essi ogni scrupolo può essere eluso. E’ indubbio che non ci sono giustificazioni alla violenza subita dai giovani della Diaz, anche di fronte alle manifestazioni più provocatorie lo Stato deve saper rispondere con misura, ma non c’è dubbio neanche che quei giovani si sono resi protagonisti a loro volta di atti di violenza che una certa milizia ideologizzata tende a perdonare perché proviene da ”compagni che sbagliano” e, pur sbagliando, sono riscattati dalla nobiltà dei lombi dai quali sono stati generati e dei loro ideali. Agli altri, no, agli altri non si perdona nulla, ai rozzi frutti di lombi meno raffinati, che con la loro violenza ci hanno fatto inorridire, non spetta nulla perché alle bestie nulla è dovuto, men che meno la pretesa di essere considerati cittadini di uno Stato di diritto. E dunque c’è da scommettere che il 41 bis e la lunghezza dei processi non entreranno nella fattispecie del reato di tortura, nonostante le diverse pronunce della Corte Europea dei diritti dell’uomo e della Corte di giustizia che hanno condannato l’inumana condizione in cui vivono i detenuti in regime di 41 bis la cui integrità fisica e psichica è a rischio, e la lunghezza del processo che condiziona la vita dell’imputato costringendolo a convivere col marchio di una imputazione non provata, con l’emarginazione e il disprezzo della gente, per un tempo non dovuto. Quando un imputato, in attesa della conclusione di una sua vicenda giudiziaria, è costretto a vivere il proprio calvario per un tempo infinito, quando un cittadino, in cerca di giustizia, vede il proprio diritto ad una sentenza vanificato da tempi interminabili a causa della inettitudine dello Stato, allora scatta la psicosi del diritto negato e può accadere di tutto. Può accadere che il cittadino viva la sua vicenda imboccando la via della frustrazione che si trasforma in disperazione che sfocia nell’autodistruzione e qualche volta nella distruzione altrui come è accaduto al Tribunale di Milano. Naturalmente non si può e non si vuole giustificare il gesto di un folle le cui motivazione non conosciamo e non possiamo valutare e tanto meno condividere, possiamo solo cercare di capire il contesto in cui è maturata una tragedia che si poteva evitare e che invece si tenta di strumentalizzare perché, tanto per cambiare, non perdiamo il vizio della disonestà intellettuale. Sulla vicenda infatti si sono fiondati i soliti pretoriani in servizio permanente gridando all’isolamento dei magistrati e alla loro esposizione al rischio di aggressioni a causa di un presunto clima di delegittimazione attribuito ad una sorta di “spectre” che trama nell’ombra, quando invece appare evidente che il discredito e la tentazione di rivalsa nei confronti dei giudici nascono dai vizi del sistema. Se c’è una cosa chiara in questa vicenda, è che le vittime di Milano sono un magistrato ma anche un avvocato e un cittadino comune nei confronti dei quali l’astio dell’assassino appare parimenti distribuito. Allora, perché l’enfasi dell’aggressione solo nei confronti dei magistrati? E torniamo al punto. Una logica manichea abbastanza diffusa distingue tra cittadini di serie A ai quali tutto è dovuto in nome di una loro pretesa superiorità antropologica, e cittadini di serie B ai quali nulla è dovuto. Con buona pace dello strabismo peloso, le vite dei cittadini comuni vessati dallo Stato, degli avvocati mortificati nel lavoro ed esposti all’ira dei clienti che spesso attribuiscono alla loro responsabilità la causa delle proprie traversie giudiziarie, degli sciagurati confinati nei sottoscala della società a causa della loro scelleratezza, da una parte, e quelle delle icone blindate e dei giovani massacrati alla scuola Diaz, dall’altra, sul piano del diritto si equivalgono. Purtroppo le prime non sono considerate alla pari delle seconde, perché figlie di un dio minore.



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