La mattina prima di uscire, mi
munisco di un po’ di spiccioli. So che incontrerò un manipolo di questuanti che
ormai sono diventati i compagni abituali delle mie passeggiate e so anche che,
nonostante mia moglie (molto più furba di me) mi metta in guardia contro una
miseria che potrebbe essere un inganno, non riuscirò a passare oltre come se
nulla fosse. Peraltro provo un senso di gratitudine per quei ragazzoni che
allungano la mano chiedendo uno po’ di centesimi che li aiutino a sbarcare il
lunario, perché anche essi come me sono soci del club degli emarginati e mi
fanno sentire meno solo. Stamattina lo scenario consueto si è arricchito di una
variante, due ragazze hanno inaugurato una nuova rappresentazione della
sofferenza. Inginocchiate sul marciapiede, con un cartello appeso al collo, lo
sguardo fisso e chino verso il basso, senza muovere un muscolo, sparano in
faccia ai passanti l’appello ad aiutarle a curare un bambino ammalato o la
madre in fase terminale. Non so se ha ragione mia moglie e se debbo diffidare,
so che la mia fragile sensibilità è andata in crisi. Va bene la condivisione
della sofferenza ma ci sono limiti oltre i quali l’uomo non può andare. Sia che
recitino una finzione o vivano una realtà autentica, che mandino in scena una
cinica mistificazione oppure una vera sofferenza, in entrambi i casi queste ragazze
sconfinano in una oscena rappresentazione della miseria umana. Di questa
miseria possono andar fieri gli artefici che l’hanno generata, governanti inadeguati e in mala fede che ci raccontano
come tutto avviene nell’interesse del Paese mentre i soliti noti guazzano nei
privilegi grazie a meccanismi iniqui che premiano gli appartenenti alle caste. E proprio ai più alti livelli dove
l’ingiustizia sociale viene perpetrata più sfacciatamente, assistiamo alla
indegna pantomina della solennità morale ad opera dei sepolcri imbiancati che
si strappano le vesti denunciando con calde lacrime la sofferenza dei diseredati
e al contempo godono di prebende da capogiro, senza avvertire il disgusto di sé
davanti allo spettacolo dei giovani che
mendicano in ginocchio e degli anziani che si arrangiano con cinquecento euro
al mese. Al danno aggiungono la beffa dell’irrisione e dell’ipocrisia.
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